Ci sono due costanti nella politica tedesca che vanno considerate per interpretare il voto per AfD di domenica scorsa nei due Land dell’ex Germania dell’Est. Uno di lungo periodo affonda le sue radici forse nei millenni, al momento dello scontro tacitiano tra Romani e Germani, e comunque prende forma moderna dalla nascita della Prussia in poi.

L’altro, connesso con le vicende della Repubblica federale tedesca di Bonn, e poi trasferitosi nella Germania unificata, riguarda il rapporto tra democrazia e sviluppo economico. Il primo aspetto, ridotto ai minimi termini vista la sua vastità e complessità, ci parla di una frattura geografico-culturale. La storia tedesca ruota su un limes, stabilito all’epoca della colonizzazione romana sulle rive del Reno, del Meno e della Mosella, sulle quali si sono attestati i legionari, costruendo il consueto sistema di fortificazioni. L’eredità romana e poi cattolica ripresa in varie forme nei secoli successivi ha forgiato una cultura politica, in questa parte della Germania, alla quale se ne è contrapposta una diversa nei territori oltre l’Elba: territori estesi su uno spazio indefinito, mobile, provvisorio.

L’assenza di un limes a est, e quindi una indeterminatezza geografica-territoriale del proprio spazio “vitale”, ha prodotto, tra le altre cose, il militarismo della Prussia, uno stato concepito innanzitutto per difendersi. E, ovviamente, la migliore difesa è l’attacco. L’autoritarismo militarista prussiano impregna tutta la storia tedesca degli ultimi secoli, tanto da tracimare spesso anche a ovest. L’impronta prussiana nei territori dell’est ha fertilizzato il terreno per sentimenti autoritari e illiberali. Del resto il partito nazista ottenne i suoi maggiori successi proprio in quelle regioni. Il comunismo ha attecchito facilmente nei Land orientali, pur con tutte le strutture di asfissiante controllo poliziesco, perché risuonava con una cultura politica autoritaria e statolatrica. E una cultura politica non scompare d’un colpo: anche dopo il crollo di un Muro rimane sedimentata a lungo nel profondo delle coscienze collettive.

Poi, se ci sono le condizioni propizie, riappare. La finestra di opportunità perché rialzi la testa viene dalla congiuntura economica, il secondo fattore che spiega l’avanzata dell’estrema destra. Dopo la fine della guerra, anche a Ovest la democrazia appariva qualcosa di estraneo. I sondaggisti americani dimostrarono che c’era ancora nostalgia per il regime sconfitto e per il Führer. Tuttavia, più l’economia si riprendeva, più la democrazia veniva apprezzata. In sostanza c’era un rapporto diretto tra il consenso al sistema democratico e le sue performance economiche. Non a caso quando la Germania affrontò il primo momento di rallentamento, nella seconda metà degli anni Sessanta, si riaffacciò un partito nostalgico, la Npd, che entrò in alcuni parlamenti regionali ma fallì per poco l’accesso al Bundestag perché non raggiunse la soglia del 5 per cento dei suffragi. Superata la crisi economica, il partito scomparve.

Oggi siamo in una situazione analoga, pur con una aggravante. Non solo l’economia tedesca è in affanno. La crisi attanaglia da tempo e in maniera drammatica tutto l’Est. Nei Land orientali la ricchezza delle famiglie è la metà di quella riscontrabile all’Ovest, l’imposta di successione di tutti i Land ex Ddr (escluso Berlino) costituisce appena il 2 per cento del totale tedesco. L’Est è diventato un deserto industriale e soprattutto demografico. La natalità è crollata in pochi anni del 50 per cento e interi paesi appaiono città fantasma. Questo spopolamento colpisce soprattutto i giovani maschi. In alcune zone il rapporto tra ragazze e ragazzi tra 20 e 29 anni è di 130 a 100.

Il risentimento per ritrovarsi cittadini di serie B cova da anni in quei territori e ha trovato una naturale espressione nei partiti anti sistema. La sirena d’allarme per la democrazia suona sempre più forte. Non riguarda solo la Germania, ma tutta l’Europa. Disagio, spaesamento, degrado, e domani forse rivolte, si affrontano potendo manovrare leve pubbliche, a livello continentale. E abbattendo una volta per tutte il tabù dell’intervento statale. Solo élite politiche capaci e visionarie, ispirate da intellettuali di rango, possono trovare e azionare le leve giuste, come nell’America roosveltiana e nella Gran Bretagna postbellica. Oggi si fa molta fatica a trovarne traccia.

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