Il governo non è in sintonia con il percorso di integrazione, Meloni lascia capire che siamo senza guida politica. Il centrosinistra deve mandarla a casa, o ci troveremo in un’Unione che si salverà comunque, ma senza di noi
Non sappiamo se il voto dello scorso 18 luglio, ossia l’elezione di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea, sarà stato un voto storico. Sicuramente sarà un voto importante, perché il parlamento europeo, con la sua presidente, ha votato anche il programma della Commissione per i prossimi cinque anni.
Questo programma tiene conto del quadro internazionale, e probabilmente è stato anche influenzato dagli avvenimenti esplosi negli Stati Uniti, l’improvviso crollo della forza dei democratici, e l’insperato doppio successo da parte di Donald Trump, la salvezza personale e il guadagno politico.
È importante notare è che il programma della Commissione tiene conto del mutamento degli orientamenti nella costruzione di un nuovo ordine mondiale, in particolare in riferimento alle grandi aeree geopolitiche che non hanno ancora trovato un schieramento definitivo e stabile.
La situazione italiana, poi, è ancora più delicata, anche al di là della constatazione immediata, e soddisfacente per le sinistre italiane, che vi è stata una sconfitta clamorosa della destra di governo, sia nelle sue velleità di guida europea dei nazionalisti, che Giorgia Meloni sperava di unificare, sia nella guida del governo italiano.
Anche se la presidente nell’intervista al Corriere della Sera di ieri prova a sostenere il contrario, dimostrando – non sappiamo quanto sia consapevole o voluta la scelta del quotidiano – che il paese è senza direzione politica; oppure mettendo in chiaro una prova di necrologio della più sfortunata esperienza dello stato unitario nazionale.
Questa situazione ci richiama alla memoria eventi passati.
Negli anni Sessanta e Settanta gli studiosi di fenomeni politici dei paesi usciti dalla Seconda guerra mondiale, nel valutare il fenomeno italiano usarono l’espressione «anomalia virtuosa».
Valutavano cioè che in un paese di frontiera come il nostro, est-ovest e nord-sud – una frontiera delicata, in cui era possibile che vi fossero incidenti non casuali ma esplosioni con effetti vasti e profondi – vi era una forza di maggioranza politica di centrosinistra che governava, ed una forza di opposizione larga, che rappresentava circa un terzo del paese e quasi per intero le forze sociali del mondo del lavoro.
Questo ampio schieramento, pur appartenendo idealmente e politicamente al campo avverso della libertà, e cioè al campo del comunismo internazionale, era comunque schierato a presidio della difesa delle istituzioni democratiche sancite dalla Costituzione italiana. Era dunque questo il significato di «anomalia virtuosa».
L’anomalia dannosa
Oggi, nello sconquassato sistema politico italiano, aleggia un’altra anomalia, non virtuosa ma dannosa. Consiste nel fatto che la maggioranza delle forze di governo è legata come organizzazione politica e ideale, a una tendenza antieuropea che si è espressa in forma esplicita e dichiarata – anche se in modo un po’ ridicolo perché è avvenuto dopo il voto, e la spiegazione successiva della presidente non fa che peggiorare il giudizio – contro la Commissione e il suo programma, e dunque a favore delle forze che vogliono evitare la costruzione di un Europa capace di essere soggetto autonomo geopolitico, dunque capace di affrontare il nuovo ordine mondiale; e contemporaneamente vi è una maggioranza nell’opposizione, costituita soprattutto dal Partito democratico, che essendo all’opposizione del governo non ha il potere di intervenire sulla partecipazione al programma della nuova Commissione, e tuttavia è parte della maggioranza politica dell’Europa.
Si è creato dunque un problema di rovesciamento democratico sostanziale: la maggioranza di governo non è in sintonia con i legami sovranazionale europei, a differenza dell’opposizione, e dunque deve sostenere una linea politica contraria a quella europea.
Dal canto suo, l’opposizione è minoranza parlamentare quindi non è in condizione di rovesciare per vie naturali, cioè democratiche, il governo delle destre. Ma deve trovare una via affinché la rimozione del governo avvenga attraverso la sollecitazione del cambiamento democratico.
Al momento ha due armi: una è nelle mani di Ursula von der Leyen, che è stata eletta su un programma e che può, anzi deve, chiedere l’adeguamento dei programmi nazionali armonizzandoli con il programma approvato al parlamento europeo per i prossimi cinque anni futuri. È una necessità: perché investe non solo i problemi dell’economia, della società, dello sviluppo, ma anche quelli della difesa e della sicurezza, su cui torneremo fra poco.
L’Italia degli staterelli
Le forze politiche dell’opposizione hanno nelle mani un’arma fondamentale: il referendum che potrebbe essere celebrato contro l’autonomia differenziata, cioè la creazione di microstati, nel momento in cui si chiede il superamento degli stati nazionali, che progettano un’Italietta divisa e suddivisa, un vero disastro per l’Italia.
Le forze dell’opposizione hanno il dovere di chiedere una grande mobilitazione di popolo intorno a questo referendum, per portare 25 milioni di italiani a votare per rimuoverlo, perché è un governo che persegue anomalie dannose al posto di quelle che negli anni Sessanta furono invece anomalie virtuose.
Per tutto questo c’è ora bisogno di un grande sforzo democratico, ma anche dell’elaborazione della strategia del superamento dello stato nazionale verso un’entità sovranazionale, che è l’Europa di domani.
Non è casuale che nel programma di von der Leyen c’è un forte richiamo alle questioni della difesa. Sta avvenendo qualcosa, nel mondo, che troverà manifestazioni casuali o concertate, comunque concorrenti.
In questi prossimi giorni probabilmente vi sarà una presa di posizione dei democratici degli Stati Uniti d’America per la scelta del presidente. Probabilmente ci troveremo di fronte a un evento innovativo, radicale, che può mutare tutto il quadro che in questi giorni è stato dato per certo.
La difesa unifica
Ma sul piano internazionale gli esperti di problemi di difesa si stanno occupando del fatto che le guerre locali stanno per trasformarsi in grandi conflitti. Non solo i due conflitti minori e maggiori attualmente, minori per il futuro e maggiori per il presente, quello del Medio Oriente e quello dell’Ucraina, ma – ci spiegano – ci si va verso una situazione di guerre di grandi spazi.
E le guerre fra grandi spazi comportano la reintroduzione della presenza degli eserciti sul territorio, e comporta il riarmo dei settori tradizionali, blindati, aerei, batterie missilistiche. Il che vuol dire che contemporaneamente avremo grandi novità nel campo delle tecnologie, ma anche il ritorno ad armamenti tradizionali. Questo è appunto è un elemento importante nella strategia della unificazione politica dell’Europa.
L’Europa dovrà affrontare questa nuova fase mondiale di una guerra per grandi aree costruendo la sua unità politica, con un processo di riorganizzazione del suo sistema di difesa e della sua presenza in uno scontro che potrebbe essere non solo economico e sociale, ma anche militare.
Di fronte a questa enormità di problemi, la presidente italiana non riesce a incidere, visto che si trova a ricevere i consigli di quelli di Colle Oppio o quelli del tradizionale trasformismo della destra. In altre parole ci troviamo a fronteggiare i fronte ai gradi problemi di mutamento internazionale con una sconfortante penuria mentale.
Prima si sgombera questo governo, che per l’Europa è solo un intralcio, più rapidamente saremo in condizione di tornare non dico a contare e a decidere per gli altri, ma a cooperare con gli altri. Perché la difesa dell’Europa è la ragione stessa della vita e del futuro delle nostre generazioni. Non c’è più il salvagente dell’«anomalia virtuosa», quando c’era qualcun altro che apriva l’ombrello. Oggi siamo senza ombrello, perché ci è stata tolta la possibilità dell’aiuto altrui. O facciamo con la nostra intelligenza e le nostre mani, o ci troveremo in un’Europa che si salverà comunque, ma senza di noi.
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