Probabilmente la premier è la prima a non aver mai letto l’opera di Spinelli, Rossi e Colorni. La versione da lei pronunciata in Parlamento è piena di tagli e manipolazioni che ne stravolgono i punti centrali, a cominciare dalla critica al comunismo sovietico
Probabilmente Giorgia Meloni non ha letto il Manifesto di Ventotene. Ma lo hanno letto coloro che hanno scritto la nota da lei letta in Parlamento. Lo hanno letto così bene da usare il bisturi nei luoghi giusti; un’operazione di cattiva informazione e di manipolazione. Il resto cucinato, ha scritto Gloria Origgi sulla sua pagina Facebook, «ha fatto in modo di stravolgerne uno dei punti centrali, ossia la critica al comunismo sovietico, all’abolizione della proprietà privata pur riconoscendo la necessità di unire le forze democratiche e comuniste nella lotta contro il Mostro totalitario».
Questo non lo hanno colto neppure le molte risposte giustamente indignate dal bisturi meloniano, in Parlamento e fuori. Forti e comprensibili reazioni al fare cartastraccia del Manifesto. Ma poi è venuto l’immancabile richiamo al contesto storico: l’errore di Meloni sembra sia stato togliere il Manifesto dal contesto del 1941. Tutto qui. Un caso di anacronismo, del mettere le parole fuori contesto. Una difesa debole e neppure corretta.
Sforbiciate sospette
Andiamo alle frasi sforbiciate. «La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso», che però continua così: «non dogmaticamente in linea di principio. Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo e del burocraticismo nazionali». La seconda frase estrapolata: «Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente», che però ha questo seguito: «La pietosa impotenza dei democratici nelle rivoluzioni russa, tedesca, spagnola, sono tre dei più recenti esempi» della incapacità dei democratici di difendere i governi costituzionali.
La terza e ultima sforbiciata: «La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria» che è la conclusione di questo ragionamento: «Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni; pensano che loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano come predicatori esortanti, laddove occorrono capi che guidino sapendo dove arrivare; perdono le occasioni favorevoli al consolidamento del nuovo regime, cercando di far funzionare subito organi che presuppongono una lunga preparazione e sono adatti ai periodi di relativa tranquillità; danno ai loro avversari armi di cui quelli poi si valgono per rovesciarli; rappresentano insomma, nelle loro mille tendenze, non già la volontà di rinnovamento, ma le confuse volontà regnanti in tutte le menti, che, paralizzandosi a vicenda, preparano il terreno propizio allo sviluppo della reazione».
Momenti di crisi
Insomma, il Manifesto ci dice (a noi, non meno che ai suoi contemporanei) che i democratici non sanno reagire ai momenti di crisi di regime perché hanno una concezione della politica che è solo quella delle regole del gioco, la quale vale per la decisione politica in tempi di normale avvicendamento di maggioranze. Ma di fronte a un regime autoritario, queste armi sono spuntate.
Si tratta di riflessioni per nulla “datate”. E nascono da una domanda che molti studiosi si fanno oggi: come muoiono le democrazie? Questa è la domanda che i democratici dovrebbero farsi oggi, per esempio negli Stati Uniti, dove si vede ogni giorno la loro incapacità di comprendere i “tempi rivoluzionari” in cui si trovano – ovvero tempi di mutamento di regime. I democratici si attendo che le istituzioni facciano il loro lavoro. Ma non sanno dire cosa fare se chi governa non rispetta quelle regole e rigetta le decisioni di quelle istituzioni.
Ci vedete cose vecchie nella riflessione degli europeisti di Ventotene? Direi che il vecchiume sta in coloro che oggi non si avvedono del rischio che le democrazie corrono. E non sanno che cosa fare per ragioni più o meno simili a quelle messe in luce dagli autori del Manifesto. Gli europeisti di Ventotene avevano lo sguardo lungo: la “rivoluzione democratica” europea doveva portare alla federazione dei paesi del continente. La federazione è una forma di organizzazione che si basa sul consenso volontario e quindi la fiducia. Senza una “rivoluzione democratica” (ovvero con un regime autocratico) non si dà né l’uno né l’altra.
Chiede Origgi nel suo post: «Lo avete l’avete letto il Manifesto di Ventotene? E i vostri figli? È online, è corto. Leggetelo. Anche a scuola. L’unica lotta collettiva contro la propaganda fascista è l’intelligenza e la buona informazione».
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