La questione generazionale non è irrilevante nel ridimensionamento delle ambizioni sociali delle nostre democrazie. Diventa una questione in proporzione al declino dell’uguaglianza delle opportunità, al blocco della speranza progettabile
L’America non è solo il nome di un continente. Nell’immaginario di milioni, è il nome della terra delle opportunità e dei giovani. Le società moderne hanno costruito l’ideale del futuro, che non è un miraggio ma un’utopia pragmatica. Speranza progettabile, la chiamava John Dewey.
Di essa c’è bisogno per credere che l’uguaglianza di condizione abbia un valore, per sentire che i sacrifici che ci addossiamo oggi non sono una fatica di Sisifo che ci riporta al punto di partenza. Speranza progettabile sta insieme a uguaglianza delle opportunità e a dinamismo. Un’idea difficile da comprendere, persino nel paese del “sogno americano”.
La campagna elettorale per la Casa Bianca mostra tra le altre cose la distanza tra il futuro e le generazioni che lo progettano. La questione generazionale non è irrilevante nel ridimensionamento delle ambizioni sociali delle nostre democrazie. Diventa una questione in proporzione al declino dell’uguaglianza delle opportunità, al blocco della speranza progettabile.
Società più disuguali sono anche quelle meno generose con le nuove generazioni e meno creative. La questione generazionale è un fenomeno a macchia di leopardo, in tutte le società. Nelle professioni spesso l’età è inversamente proporzionale al successo: ciò vale in primo luogo per i settori della finanza e della tecnologia.
La profezia di Kennedy
Nella politica, invece, la logica del tempo tende a invertirsi e l’età si fa proporzionale al potere. Nella campagna per la candidatura democratica alla presidenza, poco prima di essere assassinato, Robert Kennedy si rivolse ai giovani così: «Voi siete le persone che hanno meno legami con il presente e più interesse per il futuro». Ovvero, i politici si curano poco di voi, eppure il futuro è nelle vostre mani.
Una frase profetica se si considera la miopia dei governi della terra verso le questioni ecologiche, un difetto di visione nel quale il fattore età non è irrilevante. Non si tratta di propaganda giovanilistica evidentemente, poiché chi lavora e produce ricchezza per sé, produce anche le risorse che servono per fare politiche ecosociali per il futuro.
Fu chiesto a Bob Kennedy, durante un discorso alla facoltà di medicina dell'Università dell'Indiana, da dove pensava di trovare i soldi per pagare i programmi sociali che dovevano promuovere uguali opportunità. La sua risposta fu lapidaria: «Da voi». Una risposta che oggi gli costerebbe la candidatura.
In quella democrazia, promettere più tasse era razionale, anche perché le giovani leve erano la platea di riferimento, un crogiuolo di dinamismo che non si accontentava di posti di lavoro ma voleva una speranza progettabile. I decenni della ricostruzione post bellica e della rinascita democratica sono stati gli anni della creatività giovanile.
Generazione e politiche pubbliche di giustizia sociale ed ecologiche hanno un legame non casuale. Ciò non significa che le classi politiche non giovani non siano coraggiose nell’occuparsi di futuro, vuol dire che sono meno produttrici di risorse e meno disposte a rischiare. Ma è il legame tra generazioni e idea prospettica di uguaglianza che fa la differenza, al di là dell’età dei protagonisti. Come vediamo in Italia, una classe politica più giovane non rende il paese più dinamico; lo rende più disuguale e affamato di privilegi. La platea larga che ha fatto grandi le democrazie si è progressivamente ristretta; è diventata meno inclusiva, irresponsabile nello sperpero generazionale che viene dalla disuguaglianza e dall’impoverimento.
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