Gli antifascisti “riluttanti” sono quelli che hanno ben chiara la differenza tra il sindaco di Terni Bandecchi e Meloni. Ma siamo certi che questa differenza, pur essendo così chiara, non richieda un ulteriore sforzo di comprensione di ciò che è la violenza politica adattata ai nostri tempi?
Uno degli svantaggi maggiori dell’essere persone civili è non poter ridere del grottesco che pervade la politica contemporanea. Ne è un esempio il sindaco di Terni, la cui storia è nota per cui non la ripeto, anche perché se dovesse mai querelarmi sarei nei guai: lui è il fondatore di un’università, io un semplicissimo dipendente.
Mi limito dunque a recuperare le ultime due sortite per utilizzarle come apologo per chiarire una questione che riguarda tutti quelli che non hanno in simpatia né Bandecchi né Meloni e il suo governo.
Pochi giorni dopo aver cercato di risolvere una discussione in consiglio comunale prendendo a schiaffi il suo oppositore (una scena in cui il grottesco monterebbe così tanto da non riuscire a capire dove finisca Bud Spencer e dove cominci Mussolini), il sindaco ha comunicato di mettere a disposizione una propria forza privata per vigilare sulla città, pagata da lui stesso o, più precisamente, finanziata coi soldi di un “progetto di ricerca” dell’università di cui è (stato) fondatore e padrone.
I riluttanti
Questi due piccoli episodi sono significativi soprattutto perché mi permettono di chiarire il motivo per cui buona parte degli italiani è restia ad accettare l’idea che il governo Meloni possa essere accusato di simpatizzare per il fascismo.
Teniamo presente che buona parte della società civile – non dico di quella incivile che il fascismo non solo non lo teme ma persino lo apprezza – è composta da coloro che si potrebbero definire come “antifascisti riluttanti”. L’antifascista riluttante è colui che sa ben chiara la differenza tra Stefano Bandecchi e Giorgia Meloni.
Le due sortite che ho sopra ricordato sembrerebbero infatti indicare che per il primo non ci sia nessuna difficoltà a usare la violenza contro i propri avversari politici (anche qui il grottesco ci sopravanza: Bandecchi che usa i metodi del fascismo contro un oppositore di Fratelli d’Italia, un partito dentro cui essere antifascisti non parrebbe essere una virtù) e legittimare una milizia armata che sia controllata da una sola parte e non dallo stato.
Per l’antifascista riluttante è dunque molto semplice: Bandecchi ripropone la violenza politica, che è il cuore e l’essenza dei fascismi. Mentre, fino a prova contraria, a Meloni non possiamo imputare né di voler prendere a schiaffi gli avversari né di volersi creare una propria brigata.
Il cuore della questione
Ecco, Bandecchi è istruttivo perché chiarisce i termini di una questione fondamentale. Noi non potremo convincere gli antifascisti riluttanti della minaccia effettiva nei confronti della forma consolidata della democrazia da parte del governo Meloni se non affrontiamo proprio la questione della violenza politica. Ma non potremo nemmeno convincerli non riconoscendo ciò che ai loro occhi è evidente, cioè la differenza tra Bandecchi e Meloni.
Senza violenza politica, si può parlare – e la cosa ovviamente è allo stesso modo inquietante – di torsione autoritaria della democrazia, ma non si dovrebbe propriamente parlare di minaccia neo (o post) fascista. È questo che mi direbbe un antifascista riluttante.
Ora, sta di fatto che io non sono un antifascista riluttante. E dunque l’esito di questa discussione è sorprendente, dal mio punto di vista. Perché, pur riconoscendo che tra le democrazie liberali e i fascismi ci sono tanti gradi e sfumature da attraversare tramite cui le prime si avvicinano pericolosamente ai secondi – la separazione dei poteri, il rispetto e la garanzia delle minoranze, il controllo dell’opinione pubblica, per fare solo tre esempi classici – il punto fondamentale che ci troviamo di fronte è se non sia necessario riscrivere l’essenza dei fascismi, cioè la violenza politica, adattandola ai nostri tempi.
Quelle due sortite di Bandecchi finiscono per farlo assomigliare a un fascista d’altri tempi, uscito da Fascisti su Marte di Guzzanti. Ma siamo certi che, esclusa quella forma così plateale, la violenza politica non sia una tentazione sempre più forte per le destre rampanti in Europa (non c’è solo la Meloni, purtroppo)? La sfida che ci lanciano gli antifascisti riluttanti non è dunque quella di rassegnarsi, ma quella di descrivere con chiarezza le nuove forme contemporanee attraverso cui la violenza politica si manifesta e si concretizza.
Politiche crudeli
Per portare solo un esempio, ma estremamente significativo, a me inquieta non poco il modo in cui la destra definisce come propri nemici politici chi fa parte di alcune categorie sociali – i migranti e i poveri, per dirne alcune – e costruisce delle politiche che non sono soltanto penalizzanti, ma che vogliono essere anche punitive. Diventano cioè politiche esemplari: non basta abolire il reddito di cittadinanza, ma si deve fare tramite un sms da un giorno all’altro. Non basta restringere i termini dell’accoglienza dei migranti, bisogna anche punirli lasciandoli in mare in condizioni estreme fino al porto sicuro più lontano.
In questo modo la violenza si è trasformata in qualcosa di ancor più sottile e minaccioso: è diventata crudeltà. Del resto la crudeltà ha spesso usato come strategia la dissimulazione della violenza. In più, essa viene prodotta e legittimata proprio perché quelle categorie sociali vengono stigmatizzate in quanto nemici politici: non è anche questa una forma di violenza politica raffinata e adeguata ai tempi? Trasformata in crudeltà e agita per via indiretta (non nei confronti dei politici, ma delle classi da loro rappresentate).
È solo una traccia, ve ne sono certamente delle altre. Ma è questo quello che proverei a dire a un “antifascista riluttante”. Gli concederei che Bandecchi e Meloni non sono affatto la stessa cosa. Ma finirei per cercare di convincerlo che non è affatto detto che sia un bene.
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