L’estrema destra italiana ha varcato la soglia delle istituzioni senza davvero fare i conti con il passato. Non c’è da sorprendersi quindi se si comporta esattamente come ci aspetteremmo: a partire dalle politiche economiche che negano il problema della disuguaglianza
Jacques Chirac rifiuta nel 1997 l’alleanza con l’estrema destra del Front National di Jean-Marie Le Pen, e perde le politiche e il governo. Silvio Berlusconi costruisce nel 2006 la coalizione con i neo-fascisti di Fiamma tricolore, lista Mussolini e Alleanza nazionale, e sfiora la vittoria, mancata di soli 24.000 voti. Due momenti, due istantanee per nulla simboliche, ma che rappresentano plasticamente la differenza strutturale tra la destra italiana e quella francese. Nel contesto italiano la destra estrema prima è rimasta per mezzo secolo in una postura anti-sistema, auto-esclusa dal governo. Poi è entrata direttamente a palazzo Chigi senza scusarsi, senza rielaborare sull’acritica adesione al fascismo e all’esaltazione e celebrazione di quanto fu.
La polarizzazione ideologica del dopo Secondo guerra mondiale, il partito comunista più forte dell’intera Europa occidentale, la necessità di scongiurare il pericolo sovietico, la Guerra fredda, contribuirono a fare dei post-fascisti una sorta di riserva occulta da utilizzare, anche tollerandone gli eccessi, o meglio la prossimità collaterale ai gruppi terroristici.
Silvio Berlusconi spregiudicatamente spostò l’asse politico a destra, e incluse nel suo recinto personale i neofascisti mai domi e i leghisti secessionisti. La vicenda italiana ancora una volta si spiegò con elementi congiunturali – la presenza del magnate televisivo – e con caratteristiche strutturali della destra e del sistema politico. In assenza di una borghesia illuminata, di un solido partito liberale, di una classe media non china al potere di turno, il sistema è scivolato nuovamente sulla polarizzazione, con la sostituzione del fattore K soppiantato dalla questione B.
La destra non si smentisce
Per un trentennio il sistema politico e partitico si è mestamente trascinato in una eterna e presunta transizione senza risolvere i problemi strutturali. Quelli della definizione e configurazione politica, ideologica e programmatica degli schieramenti. Anziché farlo su basi intellettuali il tentativo è stato reiteratamente avanzato su basi istituzionali, legislative e partitiche, intese quali formule organizzative o coalizioni. Tralasciando colpevolmente, e solo forse scientemente, il cuore del problema: la cultura politica.
Nel caso della destra il fallimento è stato eclatante perché non ha mai tentato nulla. Nessun passaggio formale, ad esclusione della breve, e alla luce dei fatti fallimentare esperienza di Fiuggi. Non ha fatto i conti con la propria identità la Lega (nord), non lo ha fatto Forza Italia con e senza il suo padrone e fondatore, non si è cimentata fino in fondo con i propri limiti ei fantasmi la destra neo-fascista. Tre decadi segnate dai personalismi, prima che dalla personalizzazione, con smarcamento tattico dal bagaglio ingombrante dei padri e dei padrini, sfuggendo rivisitazione e revisione dell’album di famiglia e senza svuotamento delle scorie delle ideologie autoritarie del Novecento. La destra non ha avuto una sua Bolognina, e nemmeno un minimamente raffrontabile autodafé come per il Pci.
È come se fossimo incastrati, incistati nel lungo decennio degli anni Settanta, dove si uccideva il nemico per un abito sbagliato, dove si usano ancora le armi e la violenza. E poi vendette, schemi antichi, dialettica da gruppi della notte. Che si inseguono, non per strada, ma sul mercato social-tecnologico per tentare di risolvere vecchie ruggini. I gangli della destra neo-fascista sono presidiati da colonnelli d’antan e rappresentano una zavorra, ma anche un comodo attracco per la presidente Meloni che mai ne ha reciso i legami. E oggi quei cattivi maestri insegnano a stuoli di adepti come fare propaganda semplicemente riprendendo gli slogan che furono.
Camerati a Chigi
L’accesso di Fratelli d’Italia alla presidenza del Consiglio ha riaperto ferite mai suturate e riattivato sintomi di una patologia mai affrontata, ma solo lenita e curata con un effimero effetto placebo di governi tecnici, coalizioni prendi-tutto e supplenza dell’Europa. In un anno il governo Meloni ha inanellato una serie di azioni simboliche e sostanziali che riportano a un dato di realtà: l’estrema destra di governo si comporta come tale.
Dall’idiosincrasia per il 25 aprile e la Liberazione, dal disprezzo per il 1 maggio, per i lavoratori riuniti in forme associative, sindacati innanzitutto, ai silenzi, alle omissioni e le intromissioni sulla natura fascista della strage di Bologna del 1980, sul ruolo del Msi da rivalutare, almeno secondo il presidente del Senato…
Insomma, l’estrema destra neo-fascista celebra religiosamente il suo calendario laico e politico, semplicemente, arditamente. Senza Berlusconi è scomparsa ogni remora e ogni forma di limitazione. Rimane l’Europa, frontiera ancora troppo alta, su cui compete con la Lega quanto a volontà di distruggerla riportandola al 1914.
Se questo è il contesto, allora appaiono particolarmente insopportabili i commenti accigliati che accolgono le sortite politiche, le dichiarazioni, le proposte della destra italiana in parlamento e al governo. Due errori strutturali emanano da tale presunta sorpresa per le poco commendevoli dichiarazioni e azioni dei post-fascisti. Il primo riguarda la storia della destra italiana, la seconda è connessa alla strutturale natura della destra attuale. La quale come lo scorpione non può che pungere la rana benché questa si prodighi in servigi e cortesie istituzionali. Un riflesso condizionato, l’inclinazione a ripescare i classici del pensiero e dell’azione dell’estrema destra, attingendo dal Pantheon mai smantellato di pensatori celebri, ma anche di accozzaglia da cinepanettone, fumettismo e cultura del rock alternativo.
Nulla di paragonabile ai pensatoi e ai pensatori della destra francese, dei democristiani e dei liberali tedeschi, tantomeno del partito repubblicano americano, persino nella sua corrente neocon; e tralasciando ovviamente la Gran Bretagna per evidenti eccessi di liberalismo o l’esperienza scandinava. Che pure ha prima di tutti dovuto affrontare il fiorire di partiti di estrema destra, ma li ha controllati senza mai irretirli.
L’uguaglianza
Permane, dunque, evidente, la differenza tra destra e sinistra, termini e concetti cui Norberto Bobbio ha tentato efficacemente di conferire significazione e definizioni condivise. Bobbo individuava un fattore che distingue la destra dalla sinistra, ossia l’atteggiamento nei confronti della diseguaglianza. Per la sinistra le differenze socio-economiche tra gli esseri umani andrebbero colmate; viceversa, per la destra la differenza di status tra gli individui è in qualche misura connaturata alla società stessa e perciò ineliminabile.
Proprio sul terreno dell’eguaglianza la destra è stata molto netta in questo anno, ma lo era senza dubbio alcuno anche in passato, seppur con qualche slancio di generosità e mancia sociale.
Su tre temi cardine si nota il disegno complessivo, senza necessità di destrutturare ciascun punto e ciascuna politica nei suoi aspetti tecnico amministrativi. Per il salario minimo l’avversione è netta, perché così deve essere per la destra: si tratta di uno strumento che, al netto delle tecnicalità, pone in agenda la riduzione delle diseguaglianze. Lo stesso dicasi per il reddito di cittadinanza, strenuamente avversato e infine abolito in contrapposizione a una “occupabilità” presunta, ossia alla visione per cui ciascuno deve far fronte da sé alle proprie difficoltà.
In connessa coerenza con il tema della fiscalità: le tasse viste quale estorsione, la progressività costituzionale sostituita da un obolo semi-volontario e per nulla equo. Un disegno che reitera la visione della destra non solo della diseguaglianza, ma della società, del ruolo di ciascuno, e delle agenzie pubbliche. Il mercato da regolare solo in chiave antimondialista, ma senza sostenere il sistema di welfare, in linea con il pensiero socio-economico di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, tra gli altri. Al limite una sporadica solidarietà fatta di mance e commozione. Gli interventi in materia di disuguaglianza rappresentano la summa del pensiero della destra; nessun intervento scoordinato, nessun errore, nessuna svista istituzionale, nessuna incapacità. Solo tanta deliberata coerenza in un disegno definito. Basta peana, basta sgomento. Nessuna sorpresa. L’estrema destra fa l’estrema destra.
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