Le tensioni politiche ed elettorali tra Fratelli d’Italia e Lega in vista delle europee hanno fatto riemergere il vero oggetto del contendere: le riforme
Le tensioni politiche ed elettorali tra Fratelli d’Italia e Lega in vista delle europee hanno fatto riemergere il vero oggetto del contendere, ossia la moneta di scambio tra i due partiti: le riforme. A rincarare la dose ci ha pensato il presidente del Senato perorando dal suo scranno la causa di un capo del governo eletto «direttamente dai cittadini, dal popolo», scivolando grossolanamente in un errore da matita blu (sono gli elettori che votano), asserendo che costoro vorrebbero la riforma perché interessati ad avere al governo “gente” che ha vinto le elezioni. Tutto in linea con la consueta eleganza istituzionale, il solito garbo e il proverbiale aplomb.
Il senatore Ignazio La Russa aveva già inferto un nuovo colpo alle istituzioni repubblicane, rivolgendo un virulento attacco alla presidenza della Repubblica, salvo poi trincerarsi dietro una smentita, inalberare una incomprensione e discettare su comunicazione e sostanza.
Posto che è possibile discutere laicamente di riforme e di poteri del presidente e del parlamento, per evitare “incomprensioni” vediamo analiticamente quanto di reale ci sia nelle parole del senatore La Russa, partendo dal testo della Costituzione.
La quale prevede che il presidente della Repubblica giuri fedeltà alla Repubblica e osservanza della Costituzione dinanzi al parlamento in seduta comune prima di assumere l’incarico (art. 91). Nessuno fino a oggi ha mai tradito quel giuramento (art. 90).
Napolitano, Cossiga, Mattarella
Ci sono stati casi però di tentativi di destituirlo: nel 1978, allorché il Pci annunciò di avere avviato una procedura di messa in stato di accusa verso Leone per la vicenda Lockheed, risoltasi con le dimissioni anticipate; nel 1991 la Camera rigettò la richiesta di Pds e Rifondazione di procedere contro Francesco Cossiga per la partecipazione in Gladio.
Nel 2014 il M5s depositò una messa in stato d’accusa per Giorgio Napolitano e lo stesso movimento, per bocca di Luigi Di Maio, nel 2018 evocò un non ben precisato “impeachment” contro Sergio Mattarella, reo di non aver conferito l’incarico a chi da loro proposto e aver rifiutato la nomina di Paolo Savona.
Anche l’elezione, che avviene in seduta comune dei membri del parlamento (art. 83), è sino a ora proceduta senza particolari tensioni, salvo quando Giovanni Leone fu eletto grazie ai voti del Msi o durante l’elezione di Oscar Luigi Scalfaro due giorni dopo la strage di Capaci.
Settantadue anni è l’età media dei capi di Stato e, dunque, ampiamente sopra quanto prescritto dalla Carta, e tutti godevano dei diritti civili e politici. Solo in due casi (Napolitano e Mattarella), il presidente è stato rieletto, senza che ciò costituisca una violazione del dettato costituzionale, seppure molto si sia discusso in materia, e comunque per inezia del parlamento, non per usurpazione quirinalizia. Mai alcuno è venuto meno al vincolo di rappresentare l’unità nazionale (art. 87), posto che nessuno veniva dalle file di partiti secessionisti, regionalisti o xenofobi.
La nomina di senatori a vita è un potere significativo, o meglio era posto che si tratta di un’arma spuntata dopo la riforma del 2000 che limita a cinque il numero di quelli nominati dal capo dello Stato (art. 59), come nella situazione corrente; nel complesso ne sono stati nominati meno di 40 in 75 anni.
Quanto a nomine presidenziali, va rimarcato il potere di designare cinque giudici costituzionali (art. 135); e in ambito giudiziario il ruolo di presidente del Consiglio superiore della magistratura. Nei rapporti con il parlamento e l’esecutivo, può inviare messaggi alle camere (art. 87), e tra i casi più rilevanti c’è quello di Segni nel 1963 e di Leone nel 1975 sulla non rieleggibilità del presidente, quello di Ciampi sulla libertà di informazione e Napolitano sulle carceri.
Il presidente autorizza la presentazione alle camere dei disegni di legge governativi, promulga le leggi ed emana i decreti (art. 87). Ricordando e ribadendo che nessun atto del presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità (art. 89).
Un atto di tensione recente si ebbe con il caso, ma in generale i rilievi presidenziali sono superabili dal parlamento che può essere indotto a cambiare opinione soprattutto attraverso opera di persuasione informale.
Lo scioglimento delle Camere
Il presidente può sciogliere le camere (o anche una sola), dopo averne ascoltato i presidenti, salvo in caso di “semestre bianco” (art. 88). Qui la questione è articolata ma chiara nell’essenza. Se rimaniamo al periodo iniziato con il 1992, emerge la scelta di Scalfaro di sciogliere nel 1994 sebbene i partiti fossero contrari, mentre nel 1998 non pose fine alla legislatura nonostante i partiti favorevoli e nel 1996 sciolse ponendo fine al governo Dini, dopo aver rifiutato di tornare alle urne come chiese Silvio Berlusconi che coniò il “ribaltone”.
Giorgio Napolitano prese atto della fine del governo Prodi II, mentre lo scioglimento del 2012 avvenne a pochi mesi dalla scadenza naturale. Infine, Sergio Mattarella disse che lo scioglimento delle camere fosse “obbligatorio” prendendo atto della mancanza di sostegno parlamentare nel 2022.
Proprio qui casca il ragionamento del senatore La Russa, posto che – a differenza dei sistemi semipresidenziali dove il capo dello Stato può sciogliere senza condividere tale potere, e dei regimi presidenziali ove il presidente non può sciogliere mai – in Italia la scelta del presidente deve essere controfirmata dal presidente del Consiglio dei ministri.
Strano che decida di abdicare assecondando presunte invasioni di campo presidenziali, mentre prende semplicemente atto di non avere sostegno in parlamento come accade con le dimissioni, ad esempio quelle di Silvio Berlusconi nel 2011.
Cosa dice La Russa
Alla luce di questa disamina, appare lunare quanto detto e ritrattato dal senatore La Russa. La costituzione materiale non attribuisce affatto al capo dello Stato “poteri più grandi di quelli che originariamente la Costituzione prevedeva”. Solo sistema partitico debole. Nessuna violazione della Carta, nessun utilizzo sproporzionato dei poteri presidenziali, nessuna violazione, nessun intervento fuori dalle norme della Costituzione. La quale nulla ha a che spartire con il Pcus e con l’Unione Sovietica, proprio nulla e tantomeno con il fascismo contro cui i padri e le madri costituenti si erano battuti per sconfiggerlo: una Carta antifascista.
Ma forse il senatore La Russa, seconda carica dello Stato, potenzialmente capo dello Stato in termini di esercizio delle funzioni allorché il presidente “non possa adempierle”, vorrebbe un notaio al Quirinale, un passacarte, un funzionario silenzioso, un uomo con la pipa in bocca, appartato e arrendevole.
In effetti uno con la pipa al Quirinale c’è stato, ma non era per nulla arrendevole, né silente, e aveva anche combattuto e fatto fucilare colui di cui il presidente del Senato ha un busto sulla scrivania. E Mattarella non è von Hindenburg e nemmeno Emanuele III.
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