La professione infermieristica costituisce uno degli architravi del Servizio sanitario nazionale (Ssn). Un esempio sostanziale di ciò si è manifestato durante il drammatico triennio della pandemia, in cui si è sviluppata una retorica celebrativa che poi, una volta terminata l'emergenza, è precipitata in un cono d'ombra. La lezione che avremmo dovuto assimilare durante il Covid sembra dimenticata e svanita.

La professione infermieristica sconta da tempo una criticità che si scarica, tramite un pesante effetto domino, sui servizi pubblici e sui pazienti: la carenza di personale.

Secondo gli ultimi rilevamenti effettuati dalla ragioneria generale dello stato, si stima un deficit di infermieri che oscilla tra le 60mila e le 70mila unità di cui il 45 per cento al nord, il 20 per cento al centro e il 35 per cento al sud. Rispetto agli altri paesi Ue, l’Italia ha un numero di infermieri ogni 100mila abitanti di 626, inferiore alla media europea di 251 infermieri ogni 100mila abitanti, che diventano 337 se il calcolo è effettuato solo sui paesi aderenti all’Unione europea che hanno una media di infermiere ogni 100mila abitanti di circa 963.

Disuguaglianze

Un altro dei nodi da sempre irrisolti è quello legato alle disuguaglianze di genere che pesa in modo esponenziale. Bisogna considerare che in Italia oltre il 76 per cento degli infermieri è costituito da donne che, però, guadagnano assai meno dei propri colleghi. L’Italia è ottava tra i paesi peggiori in Europa per le donne nelle professioni sanitarie, con un divario salariale del 24 per cento nei confronti degli uomini, considerando il salario medio annuale femminile, pari a 32.116 euro, contro quello maschile di 42.082 euro.

L’infermiere del futuro

Oggi si celebra la Giornata internazionale dell’infermiere e per invertire la rotta e iniziare ad affrontare le questioni in campo, la Federazione nazionale delle professioni infermieristiche (Fnopi) ha presentato al parlamento un “Documento di consenso” che rappresenta il prodotto di tre gruppi di lavoro e di un panel di giuria che ne ha sintetizzato i risultati, composto dai maggiori esperti e responsabili della sanità nazionale.

Al centro dello studio, “l'infermiere del futuro”. Sono numerosi gli spunti emersi, ma oggi mi preme evidenziare l'importanza di un nuovo approccio alla formazione. La priorità è aumentare il livello dei percorsi, incrementando i docenti universitari infermieri di ruolo per garantire qualità e non impattare negativamente su altri corsi di laurea attivi.

Allo stesso tempo occorre avviare l’evoluzione di conoscenze e competenze manageriali per i ruoli di direzione con percorsi distinti e successivi alla laurea magistrale, come master o corsi di alta formazione e realizzare la laurea magistrale a indirizzo clinico abilitante per un profilo con competenze avanzate e funzioni e attività specifiche distintive dal laureato triennale.

Non ragionare sulla qualità della formazione significa non considerare adeguatamente il tema dell’attrattività della professione nel nostro paese. In questo modo si finisce per reclutare personale infermieristico dall'estero, che spesso si caratterizza per un livello di preparazione scadente.

Tale dinamica finisce per incidere negativamente sull'assistenza e sull'erogazione dei Lea. È proprio da qui che dobbiamo ripartire per evitare che ci siano professionisti di Serie A e di Serie B e per iniziare a colmare le diseguaglianze strutturali che indeboliscono il nostro Servizio sanitario nazionale.

 

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