«A me m'ha bloccato la malattia», piagnucolava Alberto Sordi, alias Nando Mericoni (Un americano a Roma, 1954). «A me m'ha rovinato la guerra», recriminava Ettore Petrolini (Gastone, 1924). Due comici, insegnavano agli italiani a ridere delle banalità sui cui fondavano le proprie lagne.

Non è invece chiaro se il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco volesse far ridere qualcuno, e chi, incentrando le sue solenni Considerazioni finali su quelle stesse banalità: a noi ci hanno rovinato il Covid e la guerra in Ucraina. Il governatore ha chiamato a testimone il suo illustre predecessore Luigi Einaudi che si era accorto in tempi non sospetti che la pace fa bene all'economia e la guerra le fa male.

Ma se è per questo lo notò anche un altro economista eccelso come John Maynard Keynes all'indomani della Grande guerra. E non mancarono analoghe osservazioni riguardo alle guerre napoleoniche, due secoli fa. Già con la guerra del Peloponneso, 2500 anni fa, gli antichi greci, inventori della parola economia, si resero conto che con la pace si muore meno e si vive meglio.

Dopo aver spezzato il pane della scienza dell'ovvio, Visco ha ignorato il punto vero: pandemia e guerra colpiscono tutto il pianeta ma non allo stesso modo. Colpiscono in modo feroce i paesi più poveri e in modo contenuto i paesi più ricchi (Stati Uniti, Germania, Francia), ma in misura drammatica un paese come l'Italia, ricco ma da anni afflitto da un costante impoverimento. E in Italia colpiscono i poveri e non i ricchi. Fanno male al grosso delle famiglie, costrette a tirare avanti con 20-30 mila euro l’anno quando va bene, e non a quelle che possono contare su uno stipendio di 450 mila euro.

La pandemia e la guerra si abbattono in Italia soprattutto su milioni di disoccupati ufficiali e su milioni di disoccupati occulti, come quelli che lavorano dieci ore alla settimana e l'Istat considera occupati. Sul punto Visco si limita a notare che l'Italia è afflitta da «una tendenziale riduzione della forza lavoro»: l’Istat prevede nei prossimi 15 anni 5 milioni di persone di meno tra i 15 e i 64 anni, come effetto del calo demografico, mentre «nell’ultimo decennio la mancanza di adeguate occasioni di lavoro ha spinto quasi un milione di italiani a trasferirsi all’estero».

Sembra che il governatore, anziché rallegrarsi di una dinamica demografica grazie alla quale avremo tra 15 anni 5 milioni di disoccupati in meno, si preoccupi dell'assottigliamento dell'esercito di riserva, i disoccupati che servono ai nostri imprenditori per ricattare e pagare sempre meno chi un lavoro ce l’ha e deve dire grazie.

La questione salariale

C'è poi, da molto prima delle disgrazie esogene (come le definirebbero gli economisti togati), una drammatica questione salariale. Negli ultimi 30 anni i salari italiani sono calati del tre per cento, quelli francesi sono cresciuti del 31 per cento, quelli tedeschi di quasi il 34 per cento. Che dice Visco di tutto questo? Niente.

Per lui, come per molti economisti e politici, quello che conta è l'economia nel suo complesso, per dirla volgarmente il numero di polli consumati: se poi qualcuno ne mangia due lasciando a un altro la fame non importa, la media è salva. E così in Italia non c’è la questione salariale, se non, udite udite, come minaccia per l'inflazione. E sì, perché nel libretto d’istruzioni per guidare l'economia nazionale c'è scritto che all'aumentare dei prezzi il potere d'acquisto dei lavoratori cala, quindi gli esosi chiedono aumenti salariali. Ma se li ottengono il costo di produzione delle merci aumenta e così il prezzo finale delle stesse, che spingerà l'inflazione e indurrà gli incontentabili a chiedere nuovi aumenti.

Visco è terrorizzato: la guerra ha fatto schizzare i prezzi dell'energia e quindi l’inflazione, ma lui non si preoccupa tanto di famiglie e imprese in difficoltà con le bollette e con tutte le altre spese, si preoccupa del rischio di «una rincorsa tra prezzi e salari».

Perché c’è un altro serio problema. Sempre nel manuale d’istruzioni c’è scritto che se aumentano i salari c'è più disponibilità a spendere e più richiesta di merci, e per la nota legge della domanda e dell'offerta se la gente compra di più i prezzi salgono. Cosicché un aumento dei salari stimola due volte l'inflazione.

Ma Visco è sereno: basta lasciare fermi i salari e così l'inflazione eroderà ulteriormente il già infimo potere d'acquisto delle famiglie e, testuale, «la perdita di potere d’acquisto tenderà a contenere la domanda finale, attenuando la pressione sui prezzi». E così l'economia sarà salva. Purtroppo però il ragionamento di Visco somiglia alla storiella del contadino che aveva abituato il suo somaro a mangiare sempre meno, fino a che la povera bestia morì e il suo datore di lavoro di disperò: «Che peccato, proprio ora che aveva imparato a non mangiare».

 

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