- Il governo Draghi intravede qualche nube all’orizzonte. E questo nonostante il contesto diametralmente opposto in cui si trova a operare rispetto a quel suo predecessore: mentre Monti toglieva, Draghi oggi distribuisce, e anche generosamente.
- Ma il punto di contatto tra i due casi sta proprio nella maggioranza sovrabbondante. In politica il “più siamo (al governo) meglio è” non funziona. Nemmeno la pandemia, che pure riguarda tutte e tutti, riesce a contenere i dissensi.
- L’ostruzionismo della Lega sui vaccini, l’arroccamento dei Cinque stelle sulla giustizia e, ieri, la divisione sul ddl Zan sulla transomofobia, rendono palese la difficoltà di convivenza tra forze politiche così eterogenee.
La luna di miele di Mario Monti, chiamato nell’autunno del 2011 per mettere al riparo l’Italia dal default durò qualche mese. Nonostante l’aura del salvatore della patria e una maggioranza parlamentare sovrabbondante, girata la boa dei sei mesi cominciò ad arrancare. Eppure l’unica opposizione agguerrita, quella dei grillini, era fuori dal parlamento. Certo, Monti si muoveva su un crinale sottile perché doveva far trangugiare agli italiani una medicina amarissima di tagli e sacrifici, a cominciare dall’innalzamento d’un colpo di cinque anni dell’età del pensionamento che portò con sé anche il problema, colpevolmente imprevisto, degli esodati.
Il governo Draghi, circondato da una simile e forse addirittura maggiore concordia nazionale, intravede anch’esso qualche nube all’orizzonte. E questo nonostante il contesto diametralmente opposto in cui si trova a operare rispetto a quel suo predecessore: mentre Monti toglieva, Draghi oggi distribuisce, e anche generosamente. Ma il punto di contatto tra i due casi sta proprio nella maggioranza sovrabbondante. In politica il “più siamo (al governo) meglio è” non funziona; o meglio, vale solo a fronteggiare un’emergenza. Solo che le emergenze, per definizione, non durano per sempre (altrimenti si entra in un’altra dimensione, che si allontana dalla democrazia). Hanno un end point chiaramente individuabile.
Pandemia e Recovery plan, nella loro diversità, si ergono come i pilastri su cui incardinare un governo emergenziale. La concordia universalis che doveva sostenerli si sta però incrinando. Nemmeno la pandemia, che pure riguarda tutte e tutti, riesce a contenere i dissensi. Proprio ieri la partecipazione di dirigenti di primo piano della Lega alla manifestazione anti-green pass – e sostanzialmente no-vax – ha assestato un altro colpo alla compattezza della maggioranza.
E, dall’altra parte, l’insistenza dei Cinque stelle per una revisione del progetto di riforma Cartabia suscita una serie di onde d’urto nella maggioranza perché la destra non vuole rischiare che reati di mafia e legati alla corruzione possano essere esclusi dalla tagliola dell’improcedibilità. Tant’è che si ha la sgradevole sensazione, come segnalava su Domani Andrea Lorenzo Capussela, che la classe dirigente faccia quadrato per rendere ancora più impervia la sanzione dei reati dei colletti bianchi.
Ma al di là delle questioni di merito, l’ostruzionismo della Lega sui vaccini, l’arroccamento dei Cinque stelle sulla giustizia e, ieri, la divisione sul ddl Zan sulla transomofobia, rendono palese la difficoltà di convivenza tra forze politiche così eterogenee. La luna di miele di Draghi sta tramontando, e il governo entra nella vita reale della politica, dove i conflitti sono all’ordine del giorno. Il decisionismo del presidente del Consiglio rischia di essere un vero pharmacon, un rimedio dagli effetti potenzialmente contraddittori: può sopire le intemperanze tanto quanto renderle incandescenti. La buona navigazione dell’esecutivo dipende da questo equilibrio.
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