- Questa guerra fa male principalmente a chi la subisce e a chi la combatte. Fa male anche a noi: un bellicismo che diviene militarismo e ci porta tacitamente oltre l’umano.
- Da qui dovrebbe dipanarsi il prossimo impegno della cultura: non arma ma passerella per un rinnovato incontro reso difficile dal sangue versato.
- La cultura ci può far vedere prima ciò che ancora non si vede e che oggi forse nessuno crede che mai si vedrà. Si tratta di uno sforzo da fare subito in Europa che servirà da boa di salvataggio anche per la cultura russa.
La guerra fa male principalmente a chi la subisce e a chi la combatte. Fa male anche a noi: un bellicismo che diviene militarismo e ci porta tacitamente oltre l’umano, verso una forma di esaltazione molle per la violenza. Si parla ossessivamente di armi fingendo che sia interesse per la tecnologia. Molti sono incollati ai video sulle loro performance.
C’era la guerra senza immagini; ora c’è la guerra con troppe immagini ma il risultato è lo stesso: troppa luce acceca. Dovremmo trovare rifugio nella cultura ma anch’essa è diventata campo di battaglia. Si leggono ottuse interpretazioni su autori russi – come Fëdor Dostoevskij o Vladimir Solovëv – mirate a trarne indicazioni di odio contro l’Europa, a prodromi della guerra di Putin.
Non solo è stupido ma si tratta di un esercizio da ignoranti: per il solo fatto di essere fissate l’una con l’altra, Europa e Russia si guardano come in uno specchio, talvolta deformante, cercando di scorgervi l’una l’immagine dell’altra. È fatica inutile cercare di staccare l’Europa dalla Russia: tra le loro culture c’è una lunga e tormentata storia d’amore che non passa.
Ci sono tante russie e soprattutto tante europe: Parigi e Londra; Berlino; Roma; Varsavia e le città baltiche; Stoccolma e Helsinki... ognuna con una propria particolare percezione della Russia, talvolta di incantesimo, altre volte di pericolo. Resta il fatto che conviveranno tutte assieme per sempre.
Ripartire dalla cultura
Da qui dovrebbe dipanarsi il prossimo impegno della cultura: non arma ma passerella per un rinnovato incontro reso difficile dal sangue versato. Già oggi è bene pensare al dopo: quale agenda per un nuovo inizio? Mentre ancora si combatte, la cultura può provare a costruire una nuova visione comune tra est e ovest europeo, tra noi e loro.
L’Ucraina, da terra contesa potrà paradossalmente divenire luogo d’incontro, talmente intima com’è ad entrambi i mondi culturali. Mentre Kiev lotta strenuamente per restare sé stessa, la cultura non deve dividere ma evocare (andando oltre l’orrido quotidiano) un futuro di pace e riconciliazione che dolorosamente attraversi le forche caudine della giustizia, della purificazione della memoria, di una rinnovata coscienza interiore e anche del necessario perdono.
La cultura ci può far vedere prima ciò che ancora non si vede e che oggi forse nessuno crede che mai si vedrà. Si tratta di uno sforzo da fare subito in Europa che servirà da boa di salvataggio anche per la cultura russa. Nella nebbia di guerra tutto si confonde in modo indistinguibile. Come scrive Domenico Quirico «adesso che diventa guerra mondiale, il torto e la ragione non avranno più senso. Le bugie dell’aggressore diventano realtà, la vera causa della guerra verrà dimenticata. Si lotta per sopravvivere e l’odio trionfa». Ecco perché è urgente un lavoro culturale che vada oltre il presente di odio e sangue.
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