Il maggior progetto infrastrutturale del Pnrr è il raddoppio ad alta velocità della linea tra Salerno e Reggio Calabria: i costi previsti, tutti a carico dello Stato, sono il doppio di quelli del ponte di Messina. La recente cancellazione della tratta centrale perché troppo costosa e dal grosso impatto ambientale conferma la frettolosità della sua progettazione
La notizia, praticamente introvabile, è che il sottosegretario ai trasporti Tullio Ferrante, rispondendo a una interrogazione dell’onorevole De Micheli, già ministra dei trasporti Pd, ha dichiarato che il secondo lotto del raddoppio ad alta velocità tra Salerno e Reggio Calabria probabilmente richiederà un progetto diverso. Più in dettaglio: questo secondo lotto, che riguarda una tratta di 58 km (tra Praia a Mare e Tarsia), di cui 35 in galleria con costi dell’ordine di 6 miliardi, è sparito dai radar del ministero.
Le motivazioni addotte dal sottosegretario sono di assoluto rilievo tecnico, economico ed ambientale: in corrispondenza alla galleria principale sono state trovate molte falde acquifere, che richiederebbero ampi lavori di drenaggio, con costi, tempi di costruzione, e impatti ambientali di cantiere molto più elevati.
La Gazzetta del Mezzogiorno ha parlato di un sostanziale stop all’alta velocità per il Sud, anche se il sottosegretario Ferrante ha detto che sono allo studio tracciati alternativi. Ora questa notizia, totalmente ignorata dai media nazionali, non riguarda un progetto qualsiasi, ma il più costoso progetto infrastrutturale del Pnrr.
Un’opera infatti assai più dispendiosa dello stesso ponte sullo stretto di Messina, con stime iniziali di costi variabili tra i 22 e i 29 miliardi (per il ponte siamo intorno ai 13), e c’è da scommettere che a consuntivo la seconda cifra sia più verosimile della prima. Un investimento poi totalmente a carico delle casse pubbliche (non ne è previsto alcun ritorno finanziario).
Questo rimando nel tempo della tratta centrale dell’opera la mette ancora di più al di fuori dell’orizzonte temporale dei fondi del Pnrr, quindi la colloca in una situazione di finanze pubbliche probabilmente assai critica, visto sia le incertezze internazionali che le previsioni non certo incoraggianti sulla crescita economica complessiva.
La prima tratta di questo raddoppio ad alta velocità costa circa 7 miliardi di euro. Un’analisi indipendente fatta da Brt (una onlus specializzata in analisi economiche dei trasporti) fa emergere solidi dubbi sulla sua reale convenienza socioeconomica ed ambientale. Dubbi confermati anche dal semplice buon senso, in quanto questa tratta collegherebbe Salerno con Praia a Mare, centro non certo di grande rilevanza. Rimandare poi a un futuro incerto la seconda tratta accentua ovviamente i dubbi sulla sensatezza dell’intero progetto.
Se il raddoppio ad alta velocità tra Salerno e Reggio Calabria non è completo, anche il traffico sulla prima tratta, già del tutto inadeguata per una linea con capacità teorica di 300 treni al giorno, sarà ancora più modesto. Ma anche le previsioni di traffico ferroviario per il ponte di Messina dovrebbero essere abbassate, e anch’esse finora non sembrano giustificare l’aumento di costi che comporta l’aggiunta del nodo ferroviario a quello stradale. L’aumento dei costi è molto rilevante perché postula una rigidità strutturale dell’impalcato del ponte maggiore di quanto richiesto dal modo stradale.
Un ponte solo stradale avvicinerebbe sia la fattibilità economica che quella finanziaria dell’opera. Anche la fattibilità del raddoppio della galleria Paola-Cosenza prevista per collegare le linee costiere ioniche e tirreniche, dal costo previsto di più di un miliardo, ne soffrirebbe. Paradossalmente, si potrebbe dedurre che o il collegamento AV con il Sud si fa tutto, o non serve.
Un problema di tempi e costi
Non è così: tutte le opere servono, il problema sono i tempi e i costi, e in questo caso già procedendo rapidamente e con la totale disponibilità delle risorse ci sono solidi dubbi che il traffico non sia sufficiente a giustificare l’enorme impegno economico pubblico, soprattutto esistendo alternative molto più convincenti per l’uso di quelle risorse.
Si ricorda ancora una volta che per opere di questo tipo l’impatto occupazionale per euro speso è ridotto, l’occupazione è comunque temporanea, quello ambientale netto è molto dubbio, quello finanziario rischia fortemente di richiedere anche interventi rilevanti per la fase di esercizio (oltre al 100% dell’investimento), e quello sociale interessa utenti di reddito medio-alto. Difficile, come si è detto, non trovare alternative più efficienti ed efficaci per lo sviluppo del Mezzogiorno. Ma siamo realistici: la prospettiva attuale è che l’opera proceda ancora una volta a “stop and go”, cioè quando ci sono i soldi se ne fa un pezzo.
Questo non solo ne dilata i già rilevantissimi costi, ma allontana nel tempo i benefici, quali che siano. Infatti i cantieri nelle fasi di “stop” non chiudono, anche per ovvi aspetti occupazionali, e le imprese quindi non ne soffrono affatto, e di questo sono ben consapevoli.
Come hanno scritto nel loro recentissimo libro sul Pnrr Tito Boeri e Roberto Perotti, sembra davvero che anche per gli investimenti si siano fatte scelte dettate soprattutto dalla fretta e dalla quantità di risorse disponibili, ma forse siamo ancora in tempo per un cambio di rotta.
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