Christian Raimo ha subito un provvedimento disciplinare per presunte violazioni del codice etico dei docenti. Per quanto si può apprendere, Raimo avrebbe violato i suoi doveri di non nuocere «al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale».

L’occasione in cui l’avrebbe fatto dovrebbe essere un post Facebook in cui spiegava che, a seguito di alcune sue affermazioni in una trasmissione televisiva (a commento della vicenda di Ilaria Salis, Raimo avrebbe dichiarato che, tutto sommato, i neonazisti vanno picchiati e si può anche insegnare a scuola a farlo), il ministero aveva avviato un approfondimento nei suoi confronti, invece di difenderlo o di prendere posizione sulle minacce da lui ricevute da gruppi neonazi.

Nella vicenda ci sono vari aspetti. Innanzitutto, c’è la prima affermazione di Raimo (quella sulla violenza giusta, per semplificare). Poi la critica al ministro Valditara. Poi la visione della reputazione e dei doveri del dipendente pubblico. Conviene partire da qui.

Ci si dovrebbe chiedere se la reputazione della pubblica amministrazione si debba sempre tutelare in maniera prioritaria, al di sopra di ogni altro diritto o interesse pubblico. Per esempio, un pubblico funzionario che mettesse in evidenza il comportamento inappropriato di un membro della propria amministrazione, inappropriato magari alla luce di questo stesso codice etico, sarebbe per ciò stesso passibile di censura? In un tweet del 22 giugno 2023, Valditara attaccava il consiglio di classe di una scuola di Rovigo per il 9 in condotta a uno studente che aveva aggredito una professoressa. Non è questo un pronunciamento nocivo della reputazione di quella parte dell’amministrazione? O i doveri nei confronti della pubblica amministrazione non si applicano al ministro? O questo tipo di cose si dovrebbero fare in privato? Sono ancora possibili atti pubblici di whistleblowing? Questa parte del codice etico sembra contraddittoria ed eccessiva.

In secondo luogo, è evidente che criticare in pubblico la pubblica amministrazione non è sempre un attacco alla reputazione. Anche alla luce di molta giurisprudenza sul diritto di critica nei luoghi di lavoro, la reputazione viene attaccata se le affermazioni sono sia false sia offensive. Che il ministro Valditara non abbia difeso Raimo è (a quanto mi consta) vero. E dire che avrebbe potuto difenderlo pur condannando le sue parole sulla violenza giusta. Avrebbe potuto dire, per esempio, che come Raimo non dovrebbe incitare alla violenza, così non dovrebbe subire minacce, che sono comunque una forma di violenza. E avrebbe potuto dirlo pur aprendo un provvedimento, se riteneva ce ne fossero le ragioni.

Le parole di Raimo (almeno in quel post) non sono offensive. Anzi, Raimo si spinge sino a dire che la Lega, partito cui il ministro appartiene, sta riscoprendo la sua originaria ispirazione federalista e antifascista e ricorda Luigi Valditara, padre di Giuseppe e militante delle Brigate Garibaldi.

Almeno stando a quanto detto qui, dunque, il provvedimento contro Raimo è del tutto insussistente e mosso da ragioni incomprensibili, o fin troppo comprensibili.

Rimangono le affermazioni di Raimo sulla violenza giusta, che egli ha difeso contrapponendo la sofferta scelta dei partigiani e il culto fascista della violenza purificatrice (se ne parla nel modo migliore nel capitolo 7 di Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza di Claudio Pavone). Su questo non posso che ripetere quanto ho già scritto qui a proposito di un tweet di cordoglio solidale di Donatella Di Cesare per la morte di Barbara Balzerani.

Se in classe Raimo considera e magari difende certe tesi sulla violenza giusta come autodifesa o extrema ratio, esercita legittimamente le sue funzioni di docente, che gli richiedono capacità critiche nel contesto del dialogo con studenti e studentesse. Se invece lo fa in spazi dialogici più precari, veloci, manipolabili, come i social o trasmissioni televisive, non esercita quella funzione, anche se non necessariamente va contro di essa, perché rischia di essere frainteso o di urtare legittime suscettibilità, facendo un cattivo servizio alla discussione pubblica. Ci sono casi in cui il migliore modo di stimolare la deliberazione democratica è sottrarsi a certi spazi. Ma anche se non l’ha fatto Raimo (come Di Cesare) dev’essere tutt’al più criticato dai suoi pari e colleghi e da altri cittadini, non certo sottoposto a provvedimenti disciplinari da parte dei suoi superiori gerarchici.

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