- In futuro i nostri figli potrebbero non essere contenti delle loro foto e della storie che abbiamo pubblicato sui social.
- A noi sembra di descrivere situazioni buffe o tenere, ma per una persona adulta, quale saranno nel futuro, potrebbe non essere altrettanto piacevole. Per non parlare dei diritti d'autore.
- Cerchiamo di non perdere l'amore dei nostri figli, perché poi sono capaci di farci causa in tribunale.
Per non farci rubare la gazzosa o l’estathè ormai diciamo sempre a nostra figlia che stiamo bevendo la birra. E lei, che convenzionalmente chiamiamo Marinette, naturalmente sa che i bambini non possono bere la birra. Sono le nove e mezza di mattina e mia figlia crescerà ricordandosi di aver avuto dei genitori alcolisti.
Lascio questa testimonianza nella speranza che Marinette un giorno faccia delle ricerche d'archivio, rilegga questi articoli e sappia che non eravamo assolutamente alcolisti. Semplicemente eravamo stufi di farci rubare l’estathè mentre lei aveva già finito il suo succo.
Il problema è che facendo la sua bella ricerca in emeroteca capiterebbe anche su tutti gli altri articoli che le ho dedicato. Come lo prenderebbe?
Bambini sui social
Ultimamente si discute molto dello sfruttamento dell’immagine digitale dei figli sui social network. Un problema che non riguarda solo gli influencer dalle centinaia di follower in su, ma ogni ogni genitore su Facebook che vorrebbe postare le foto delle vacanze in famiglia.
La maggior parte delle persone che conosco rispettano la regola di non esibire i figli in rete, e questo sia per non fornire un dato sensibile alle piattaforme, ormai in grado di fare il riconoscimento facciale con l'intelligenza artificiale, sia per un principio generale di sicurezza. Si vedono al massimo foto temporanee subito cancellate o foto coperte con icone sul viso. Manine, capelli, pezzi di viso. Perché il genitore ovviamente passerebbe la giornata a condividere foto della prole, ma la voce della saggezza gli ricorda in ogni momento che non è assolutamente una buona idea.
In compenso per un certo periodo mi sono divertito a raccontare aneddoti di vita vissuta. Come quella volta che ho voluto fare un discorso serio a mia figlia: «Vedi Marinette, le risorse sul pianeta in cui viviamo sono limitate. Ogni volta che consumiamo qualcosa, ci avviciniamo al loro esaurimento. E quando non ci saranno più risorse, dove andremo?». La sua risposta è stata folgorante: «A Milano».
Anche qui, è molto probabile che lo scambio faccia più ridere me che voi, un po’ come quelle immagini fatte con l’intelligenza artificiale che sembrano belle solo a chi le ha fatte. In questo caso il meccanismo è simile: un prodotto pressoché casuale (la bambina non aveva certo l’intenzione di fare un motto di spirito, ha semplicemente fatto una deduzione) ci affascina perché lo investiamo con un senso.
Fortunatamente su Facebook abbiano principalmente degli amici, o presunti tali, e la gente regala dei like empatici agli esibizionismi genitoriali.
Figli nei testi
Ma se ammettiamo che l’immagine dei bambini appartiene a loro, che statuto hanno i testi o gli status pubblici in cui raccontiamo le cose che fanno? A noi sembra di descrivere situazioni buffe o tenere, ma per una persona adulta, quale saranno nel futuro, potrebbe non essere altrettanto piacevole. Per non parlare dei diritti d’autore: perché dovrei monetizzare io i guizzi d'ingegno di mia figlia? Oltrettutto senza neanche darle il mio estathè.
Per fortuna status e articoli sui figli scritti dai papà raramente parlano dei figli: più spesso parlano, in maniera indiretta, dei papà.
Ogni tanto, per giunta, ce li inventiamo di sana pianta. Come quella volta che in spiaggia ho detto a mia figlia: «Vedi cara mia, voi bambini siete più piccoli, è vero, ma siete tanti, e pieni di energia, e d’inventiva; sicché potreste, organizzandovi, nominando un piccolo re e una piccola regina, assieme a delle caste nobiliari intermedie, ecco potreste facilmente prendere il potere su questa spiaggia, sottomettere gli adulti e governarla con pugno di ferro come un piccolo feudo».
E la bimba assumendo una voce cavernosa mi ha fissato con i suoi occhi fosforescenti e mi ha risposto: «Papà. Ma noi vi governiamo già».
In effetti se abbiamo cominciato a mentire sull'estathè evidentemente dovevamo compensare un difetto di autorità. O più banalmente - ma è la stessa cosa - non volevamo prendere il rischio di non essere amati.
Anche la questione dell’esibizione della nostra vita familiare è fondamentalmente una questione di amore. Tutti vogliamo percepire l’amore dei nostri amici e conoscenti, che tende a manifestarsi con tanta più forza davanti all'immagine di un bambino o alla rappresentazione più o meno realistica, più o meno artificiale, di una vita felice. D’altra parte non vogliamo che il loro amore si trasformi in noia o in fastidio a fronte di una nostra domanda d'attenzione troppo insistente. Soprattutto non vogliamo perdere l’amore dei nostri figli, perché poi sono capaci di farci causa in tribunale.
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