- Putin ha disposto una mobilitazione parziale, vale a dire il richiamo di 300.000 riservisti da inviare a combattere contro l’Ucraina.
- Diversi Paesi europei hanno mostrato atteggiamenti di chiusura, a fronte delle migliaia di uomini in fuga dalla Russia per evitare l’arruolamento.
- Chi scappa potrebbe godere dello status di rifugiato se la guerra in cui è chiamato a combattere sia caratterizzata da crimini di guerra o contro l’umanità e se rischi pene gravi e sproporzionate in caso di rifiuto di andare al fronte per motivi politici o altri previsti.
Com’è noto, lo scorso 21 settembre il presidente russo, Vladimir Putin, ha disposto una mobilitazione parziale delle forze armate, vale a dire il richiamo di 300.000 riservisti da inviare a combattere contro l’Ucraina.
A fronte delle migliaia di uomini in fuga dalla Russia per evitare di essere arruolati, diversi Paesi europei hanno mostrato atteggiamenti di chiusura. Il ministro degli Esteri lituano ha scritto in un tweet che il Paese «non concederà asilo a chi sta semplicemente scappando dalle responsabilità. I russi dovrebbero restare e combattere.
Contro Putin». Sempre su Twitter, il ministro degli Esteri lettone ha fatto presente che «per motivi di sicurezza, la Lettonia non rilascerà visti umanitari o di altro tipo ai cittadini russi che si sottraggono alla mobilitazione».
Ylva Johansson, commissaria agli affari interni dell’Unione europea (UE), presentando le nuove Linee guida della Commissione sulle procedure di rilascio dei visti e sui controlli di frontiera nei confronti dei cittadini russi, ha affermato che l’esame delle condizioni di rilascio dei visti a tali cittadini compete ai singoli Stati e dev’essere effettuata «in modo restrittivo e coordinato.
La giustificazione del viaggio dovrebbe essere valutata in modo rigoroso, in particolare per i cittadini russi in fuga dalla mobilitazione militare». Ma cosa dispone il diritto europeo riguardo alla protezione di chi fugge dal proprio Paese per evitare di combattere in una guerra? Sono fondate le posizioni degli Stati che chiudono le frontiere ai russi in fuga?
Lo status di rifugiato dei disertori
La direttiva di recepimento della Convenzione di Ginevra del 1951 (Direttiva 2011/95/Ue, cosiddetta Direttiva “qualifiche”) prevede che lo status di rifugiato possa essere concesso, tra gli altri, a chi potrebbe subire «azioni giudiziarie o sanzioni penali in conseguenza al rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto» nel quale siano commessi crimini di guerra, contro l’umanità o atti similari (art. 9, par. 2, lett. e, della direttiva).
I russi che fuggono per evitare di combattere in Ucraina potrebbero rientrare in questa disposizione, date le prove già raccolte sul compimento di tali crimini da parte della Russia.
In secondo luogo, per attribuire lo status di rifugiato bisogna valutare se a chi rifiuta l’arruolamento corra il rischio di essere perseguitato con pene gravi e sproporzionate.
Al riguardo, basti pensare - come riporta la Tass - che il presidente russo ha disposto che la diserzione o la mancata comparizione alla leva sia punita con la reclusione da cinque a dieci anni e che per la diserzione durante la mobilitazione o la legge marziale siano comminati quindici anni di detenzione.
Per poter godere di protezione internazionale dev’essere soddisfatta un’ulteriore condizione: la presenza di almeno uno dei cinque motivi di persecuzione - razziali, religiosi, nazionali, sociali o politici - previsti normativamente (art. 10, par. 1, direttiva 2011/95). In particolare, è considerato motivo politico la fuga dall’arruolamento per il rifiuto dell’impiego della forza militare o per l'opposizione alla politica oppure ai metodi delle autorità del proprio paese.
L’accertamento della motivazione compete alle autorità responsabili dell'esame della domanda di protezione internazionale, tenendo comunque presente che, ai sensi della direttiva 2011/95 (art. 10, par. 2), «è irrilevante che il richiedente possegga effettivamente le caratteristiche razziali, religiose, nazionali, sociali o politiche che provocano gli atti di persecuzione, purché una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall’autore delle persecuzioni».
Si potrebbe obiettare che non tutti quelli che fuggono per evitare di combattere sono stati effettivamente richiamati (l’arruolamento riguarda 300.000 riservisti sui circa 25 milioni), e ciò li renderebbe inidonei all’asilo. Questa conclusione non è corretta.
Per le Linee guida in materia di protezione internazionale n. 10 dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR, par. 3), sono da considerare rifugiati anche coloro i quali, sebbene non coscritti, abbiano come unica alternativa la fuga, «in previsione della domanda effettiva di registrarsi o di presentarsi in servizio».
Si potrebbe ancora obiettare che chi oggi scappa dalla Russia non si è ribellato sin dall’inizio a chi ha scatenato il conflitto, e ciò non gli darebbe diritto all’accoglienza.
Al riguardo, premessa la necessità di indagare sempre «la genuinità e/o il significato personale» delle ragioni alla base del rifiuto di combattere (Linee guida UNHCR, par. 64), va comunque considerato che qualunque protesta contro il regime russo comporterebbe arresto e detenzione, e dunque una forma di persecuzione.
In sintesi, lo status di rifugiato può essere concesso se l’arruolamento comporti il rischio di un coinvolgimento, anche solo indiretto, in un conflitto caratterizzato da crimini di guerra o contro l’umanità e che la persona arruolata rischi pene gravi e sproporzionate in caso di rifiuto di combattere per motivi politici o altri previsti.
Non è necessario comprovare la ricezione dell’avviso di arruolamento, ma è sufficiente l’eventualità di essere chiamati a combattere.
La Corte di Giustizia Ue
Questi principi sono stati applicati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) con riguardo alla protezione di un cittadino siriano fuggito dal proprio paese per eludere il servizio militare, con il rischio di subire azioni giudiziarie o sanzioni penali in caso di ritorno in Siria (sentenza 19 novembre 2020 nella causa C-238/19).
Se, a fronte della commissione ripetuta e sistematica di crimini di guerra o contro l'umanità da parte dell'esercito, la fuga è il solo mezzo che permette di evitare la partecipazione a tali crimini senza subire azioni giudiziarie o sanzioni penali, chi vi ricorre può avere diritto alla protezione internazionale.
Deve comunque sussistere uno dei motivi di persecuzione previsti dalla direttiva, sopra indicati.
Tuttavia, secondo la Corte, «in un contesto di conflitto armato, (…) e in assenza di una possibilità legale di sottrarsi agli obblighi militari, è altamente probabile che il rifiuto di prestare servizio militare sia interpretato dalle autorità come un atto di opposizione politica, a prescindere dalle motivazioni personali».
Sulla base di quanto spiegato, chi vuole chiudere le frontiere ai russi violerebbe la normativa a tutela dei rifugiati. Ciò specie ove si consideri che il Codice Schengen (Regolamento Ue 2016/399) disciplina l’attraversamento delle frontiere esterne dell’Unione «senza pregiudizio dei diritti dei rifugiati e di coloro che richiedono protezione internazionale, in particolare per quanto concerne il non respingimento» (art. 3).
Il diritto non ha presa emozionale, come invece certe affermazioni tese a penalizzare i cittadini il cui Presidente ha scatenato una guerra orrenda, ma resta l’unico elemento da valutare per mantenere salda la barra della razionalità e della tutela di chi si trovi in condizioni idonee a farla attivare.
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