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Lo spettacolo ha in sé qualcosa di indecente. Dal rito stanco alle rivendicazioni da esibire per far dimenticare le infelici uscite di un ministro della Giustizia o gli applausi partiti dagli alleati governativi sul famigerato “reato che non c'è”, il concorso esterno in associazione mafiosa.
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Più ci allontana dalle stragi e più il ricordo delle vittime viene stravolto. Basta impossessarsi di una loro parola o di una frase per poi scaraventare tutto addosso ai nemici del momento.
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Il consiglio è quello di andarsi a rileggere cosa aveva dichiarato Paolo Borsellino a Repubblica e all'Unità, il 20 luglio del 1988: «Lo stato si è arreso, della lotta alla mafia restano solo macerie».
Di chi è Paolo Borsellino in questa torrida estate del 2023? Tutti lo vogliono, tutti che lo tirano di qua e di là per fargli dire anche quello che non ha mai detto, tutti che si impadroniscono del suo pensiero e della sua eredità. Di chi è il cadavere di Paolo Borsellino trentuno anni dopo le stragi?
Lo spettacolo ha in sé qualcosa di indecente. Il 19 luglio che cambia mutevolmente di stagione in stagione, dal ricordo commosso al rito stanco, dalla fastidiosa retorica si è arrivati oggi all'anniversario-trofeo da esibire per far dimenticare le infelici uscite di un ministro della Giustizia o gli applausi partiti dagli alleati di Forza Italia sul famigerato “reato che non c'è”, il concorso esterno in associazione mafiosa.
La molesta propaganda
Caricato di un significato politico fuori misura e accompagnato da una molesta propaganda governativa, il 19 luglio del 2023 – per gli avvenimenti che l'hanno preceduto – ha rappresentato l'occasione ideale per spartirsi brandelli del giudice.
A chi appartiene Borsellino? A Giorgia Meloni che, come sostiene l'ex pubblico ministero Roberto Scarpinato, ha proclamato il lutto nazionale per Berlusconi «che ha portato la mafia nello stato»?
A quella magistratura che, per prima, l'ha isolato e umiliato quando nel luglio del 1988, in un clima “rilassato” proprio come in questi ultimi anni, aveva denunciato «la fine della lotta alla mafia»? Alla famiglia, che si è divisa rumorosamente in suo nome proprio alla vigilia delle celebrazioni?
Una Palermo che sembrava abituata a ogni scelleratezza e a ogni disincanto in coincidenza delle cerimonie alla memoria – Maria Falcone sul palco il 23 maggio scorso con il sindaco Roberto Lagalla sponsorizzato da Totò Cuffaro e dal senatore Marcello Dell'Utri; la carica ordinata dalla questura contro un pacifico corteo di studenti e sindacalisti che voleva raggiungere l'Albero Falcone; il ministro dell'interno Matteo Piantedosi all'inaugurazione di un museo intitolato ai due magistrati accanto al governatore Renato Schifani imputato per associazione a delinquere – adesso fa i conti anche con l'anniversario blindato, con l'invenzione di fantomatiche “frange antagoniste” che vorrebbero turbare la sacralità della giornata, con le caserme di polizia per la prima volta chiuse ai giornalisti.
Ogni nuova ricorrenza ci riserva il peggio, una sorpresa sempre più sgradevole.
Il ricordo stravolto
Più ci allontana dalle stragi e più il ricordo delle vittime viene stravolto a piacimento, alla bisogna, a sostegno di una tesi o dell'altra. Basta impossessarsi di una loro parola, di una frase, di un piccolo brano di un discorso per poi scaraventare tutto addosso ai nemici del momento.
A volte capita che lo facciano gli stessi personaggi che attaccavano impietosamente loro, Falcone e Borsellino, quando erano in vita e isolati dentro il bunker del palazzo di giustizia.
Che altro ci resta da dire e da scrivere trentuno anni dopo, con i macellai di Totò Riina tutti sepolti dagli ergastoli e con i cosiddetti “mandanti altri“ sempre più ignoti? Che altro aspettarsi per il prossimo anniversario?
Il consiglio al momento è quello di andarsi a rileggere cosa aveva dichiarato Paolo Borsellino, allora procuratore capo a Marsala, a Repubblica e all'Unità, il 20 luglio del 1988. Una denuncia secca che fece scalpore perché sopraggiunta qualche mese prima era appena finito il maxi processo con Cosa Nostra dichiarata morta e sepolta dal governo italiano. Disse Borsellino: «Lo stato si è arreso, della lotta alla mafia restano solo macerie».
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