Potrebbe apparire un’affermazione in contraddizione con i dati positivi sull’occupazione che si stanno susseguendo da quasi tre anni. Ma non è così
Il mercato del lavoro italiano si sta svuotando. Potrebbe apparire una affermazione in contraddizione con i dati positivi sull’occupazione che si stanno susseguendo ormai da quasi tre anni, ma non è così.
Che il numero di occupati cresca è innegabile, ma lo è anche il fatto che le persone in età da lavoro (quelle tra i 15 e i 64 anni) diminuiranno inesorabilmente nei prossimi anni, a causa delle conseguenze del calo demografico.
Meno nati negli ultimi decenni, e quindi meno persone che entreranno in quella fascia d’età in cui si diventa parte dell’offerta di lavoro. I numeri sono chiari e non lasciano spazi alle interpretazioni, dalle elaborazioni fatte insieme a Jacopo Sala di Adapt emerge che se il tasso di occupazione di oggi restasse costante, già nel 2030 il numero di occupati in Italia subirebbe un calo del 3,2 per cento, contro lo 0,6 per cento della media europea, a causa della maggiore incidenza degli effetti demografici nel nostro paese.
Calo inesorabile
Questo significa che fra meno di 6 anni c’è la quasi certezza che ci saranno 730mila lavoratori in meno, anche se la percentuale di persone occupate rispetto alla popolazione occupabile restasse invariata.
Se si estende la proiezione sul 2040 e poi sul 2050, la situazione peggiora drasticamente, con l’andamento italiano sempre più critico rispetto alla media europea. Già nel 2040, fra meno di vent’anni, il calo di occupati in Italia arriverebbe al 13,8 per cento e al 20,5 per cento nel 2050. Tradotto in numeri assoluti, nel 2040 si stima ci saranno 3,1 milioni di lavoratori in meno e nel 2050 il calo arriverebbe a 4,6 milioni.
Se poi prendiamo la distribuzione degli occupati per fasce d’età, si può vedere come la riduzione colpisca in modo trasversale tutta la popolazione lavoratrice e soprattutto si nota la rapidità del processo: nel 2030, nella fascia 35-49 anni i lavoratori saranno il 10,8 per cento in meno, un calo di quasi un milione. Nel 2050, nella fascia 50-64 anni si prevede una riduzione della forza lavoro pari a oltre 2 milioni di unità, il 26,5 per cento. E mentre cala la forza lavoro nelle fasce più adulte della popolazione, tra i 15 e i 34 anni i lavoratori aumenteranno dello 0,9 per cento nel 2030, per poi calare progressivamente, fino al 2040 quando ci saranno 450mila lavoratori in meno e oltre un milione di lavoratori in meno nel 2050.
La digitalizzazione
Lo scenario è altamente preoccupante e nel panorama internazionale l’Italia si colloca in una posizione di svantaggio considerata la popolazione più anziana e il calo delle nascite più marcato. Per le imprese significherebbe poter contare su una offerta di lavoro molto inferiore rispetto a oggi, a fronte di una domanda della quale non conosciamo oggi le evoluzioni.
Certo è che letto in quest’ottica il tema degli impatti occupazionali della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale assume un peso differente, con la necessità, già oggi, di utilizzare queste tecnologie per sostituire quei lavori e quelle mansioni per le quali sarà più difficile trovare lavoratori.
I fenomeni migratori
C’è poi il nodo dei fenomeni migratori, sia regolari che irregolari, che potrebbero incidere sulla struttura della popolazione italiana e che sono l’unica possibile soluzione per una sua crescita quantitativa.
Che il sistema economico italiano funzioni unicamente con un determinato numero di lavoratori non è un destino, ma uno scenario alternativo implicherebbe di certo una profonda revisione dei processi produttivi in tutti i settori, revisione che non pare essere all’ordine del giorno.
Molto più complicato invece è immaginare la sostenibilità dei sistemi di welfare, a partire da quello previdenziale passando da quello sanitario o dell’istruzione. Questi infatti fondano buona parte del loro funzionamento sulle risorse fiscali e contributive versate dai lavoratori, e quindi l’ammanco generato dalla loro diminuzione, non potrà che metterli in difficoltà. Con l’aggravante che sul fronte pensionistico e sanitario il peso di una popolazione che vivrà più a lungo è molto maggiore, aumentando la durata delle prestazioni previdenziali e i volumi di quelle sanitarie.
Sempre nell’ottica della necessità di un modello di lavoro e welfare, e quindi di società, da ripensare radicalmente non si può ignorare il tema, molto difficile da affrontare, dell’allungamento dei percorsi lavorativi con interventi sull’età di pensionamento. Un tema che può essere discusso solo a fronte di cambiamenti nell’organizzazione del lavoro e dei processi produttivi, magari anche in questo caso grazie alle tecnologie.
Quello che è innegabile è la certezza di andare verso un mondo che non sarà più quello che conosciamo oggi dal punto di vista degli equilibri sociali ed economici. L’urgenza in questa fase, in assenza di azioni che sembrano anche solo considerare le trasformazioni in atto, è almeno iniziare a pensarci, a sviluppare idee, progettualità, riforme e di farlo coinvolgendo tutti gli attori che verranno impattati. L’alternativa è navigare a vista, e le conseguenze di questo approccio sono facilmente prevedibili.
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