- Se parli di donne e carriera (e negli ultimi giorni l’abbiamo fatto in tanti) prima o poi arriverà chi dice: «D’altra parte le donne sono le peggiori nemiche delle donne». Mettiamo da parte per un attimo le nostre idee e chiediamoci: questa frase è vera?
- Come è possibile attraversare l’esistenza senza sentirsi colpiti dalla miseria umana? Non è forse una delle esperienze più universali? Siamo sicuri che domande così formulate ci aiutino a caratterizzare i rapporti fra le donne?
- Nessuno definisce gli uomini i peggiori nemici della loro stessa categoria, proprio perché non sono visti come una categoria. Le donne, essendo rappresentate come categoria, si pongono il problema di essere tutelate da chi appartiene alla categoria.
Se parli di donne e carriera (e negli ultimi giorni l’abbiamo fatto in tanti) prima o poi arriverà chi dice: «D’altra parte le donne sono le peggiori nemiche delle donne». Mettiamo da parte per un attimo le nostre idee e chiediamoci: questa frase è vera? Rispondere sì o no, in modo istintivo, non ha molto senso.
Come potremmo stabilire se è vera? Facendo statistiche e sondaggi? Ma in che modo dovremmo costruire queste statistiche, questi sondaggi? Cosa significa essere i peggiori nemici di qualcuno? Cosa significa essere i peggiori nemici di un gruppo al quale si appartiene? Qualche anno fa Kelly Valen condusse una serie di sondaggi sul tema, poi confluiti in un libro che discute le difficoltà della solidarietà femminile (The Twisted Sisterhood, traducibile con La sorellanza perversa).
A titolo di esempio, i sondaggi portavano a conclusioni come «il 90 per cento delle intervistate ha avvertito nella vita correnti di meschinità e negatività emanate da altre donne» oppure «più del 75 per cento è stata ferita dalla gelosia e dalla competizione di un’amica». Si tratta di conclusioni a loro modo interessanti, sicuramente lo sono in senso psicologico e narrativo. Per farla breve, da scrittrice mi interessano. Ma è difficile comprenderne il valore dal punto di vista dell’individuazione di una verità. «Avvertire correnti di meschinità e negatività» provenienti da altre persone è un fatto comune nella vita.
Se fermiamo una persona per strada, uomo o donna, e le chiediamo se abbia mai avvertito queste correnti negative, se le abbia avvertite almeno una volta, credo che difficilmente risponderà di no. Dirà che le ha avvertite sia da uomini sia da donne. Come è possibile attraversare l’esistenza senza sentirsi colpiti dalla miseria umana? Non è forse una delle esperienze più universali? Siamo sicuri che domande così formulate ci aiutino a caratterizzare i rapporti fra le donne?
Le categorie
Facciamo un passo indietro. La frase «gli uomini sono i peggiori nemici degli uomini» non si sente dire mai. Il concetto semplicemente non funziona, non perché gli uomini siano tutti fratelli che si amano, anzi. Gli uomini si ammazzano di continuo, le guerre più efferate nascono dalle loro dinamiche di potere, e questo anche perché, naturalmente, hanno potere.
Ma nessuno li definisce i peggiori nemici della loro stessa categoria, proprio perché non sono visti come una categoria. Non serve che spieghi per l’ennesima volta che l’uomo è tutt’oggi considerato l’essere umano standard, e che la donna è considerata una deviazione dallo standard.
La violenza fra uomini non è percepita come un ostacolo per il gruppo, ma come una regola essenziale del giocattolo del potere, e in ultima analisi come un meccanismo funzionale al mantenimento di un ordine universale. Gli uomini non scherzano sui loro giocattoli.
Estranee nel gruppo
Le donne, invece, essendo rappresentate come categoria, e facendo esperienza delle disuguaglianze di genere, si pongono il problema di essere tutelate da chi appartiene alla categoria. In questo senso, la frase «le donne sono le peggiori nemiche delle donne» sembra assumere un significato. Ma siamo sicuri che il processo attraverso il quale assume un significato sia innocente?
La mia opinione è la seguente. Al di là della sua difficile dimostrabilità, la frase è improduttiva e dannosa, perché trasforma quella che sarebbe una inevitabile esperienza umana generale – la negatività che proviene dagli altri – in un elemento che ci fa sentire estranee all’interno di un gruppo. Estranee e imprigionate.
Inoltre determina una sensazione di continua, insopprimibile sconfitta di categoria: «Non ce la faremo mai». Dà la sensazione che le donne siano poco lungimiranti, diciamo pure stupide, mentre gli uomini (che si ammazzano allegramente, ma facciamo finta di no) «sanno fare squadra». Questo dovrebbe farci venire il dubbio che la frase è in realtà lo strumento perfetto per tenere le cose sotto controllo. Non a caso, la frase compare, prima o poi. Non c’è dibattito sul tema donne e disuguaglianze che non la produca. Sembra veramente il risultato di un sistema di controllo automatico.
Poi può accadere che le donne che accedono al potere (imprenditrici, politiche) perdano di vista il problema delle disuguaglianze di genere. A volte succede, chi arriva al potere con fatica pensa che chi non ci arriva non ha voluto fare lo stesso sforzo, non si è impegnato abbastanza. Naturalmente non è così. Ma sentirsi superiori è una inevitabile tentazione dello spirito. Il potere regala queste tentazioni. Lo fa perché sa che lottare per la giustizia è faticoso.
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