- La possibilità di dissentire è il sale della democrazia liberale: non si comprende la specificità della cittadinanza democratica senza fare riferimento alla possibilità di dissenso, etico e politico, radicata nella libertà di critica.
- Non è la presenza di un governo a sancire la differenza fra la democrazia liberale e gli altri tipi di sistema politico. I governi, infatti, sono presenti in tutti i sistemi politici: democratico-liberali, autoritari e totalitari.
- Nelle democrazie liberali i rappresentanti sono liberamente scelti tramite procedure di voto, accettate e riconosciute e, di fronte ad un governo può esistere un’opposizione legalmente e socialmente riconosciuta.
La possibilità di dissentire è il sale della democrazia liberale: non si comprende la specificità della cittadinanza democratica senza fare riferimento alla possibilità di dissenso, etico e politico, radicata nella libertà di critica. Non è la presenza di un governo a sancire la differenza fra la democrazia liberale e gli altri tipi di sistema politico. I governi, infatti, sono presenti in tutti i sistemi politici: democratico-liberali, autoritari e totalitari.
Nelle democrazie liberali i rappresentanti sono liberamente scelti tramite procedure di voto, accettate e riconosciute e, di fronte ad un governo può esistere un’opposizione legalmente e socialmente riconosciuta.
Per utilizzare una efficace espressione di Alessandro Pizzorno, nelle democrazie liberali è possibile «trasferire il contenuto del foro interno dell’individuo sul foro esterno».
Si può dissentire non soltanto nei meandri della propria coscienza, ma, anche all’esterno, nella sfera pubblica, assieme agli altri. Il dissenso, cioè, può essere organizzato.
Al contempo, le democrazie liberali si consolidano quando si diffonde il convincimento che il sistema democratico sia “the only game in town”, l’unico sistema accettabile. Quando, cioè, avviene il riconoscimento delle procedure democratiche quali beni pubblici che ci si aspetta che anche gli altri rispettino.
Ciò significa che i principali attori presenti sulla pubblica ribalta accettano di muoversi all’interno delle regole di una democrazia liberale e pluralista avendone interiorizzato valori e prassi. Queste sono le basi culturali solide che una democrazia liberale deve avere per durare nel tempo.
Per questo, suscitano sgomento sia il comportamento del presidente americano uscente Donald Trump che non intende riconoscere il risultato delle elezioni del 3 novembre scorso e la netta espressione del voto popolare a favore del candidato democratico Joe Biden, sia le immagini del parlamento americano assaltato da manifestanti altrettanto irriguardosi rispetto alle procedure democratiche e all’esito del voto popolare.
Si fa risalire la nascita della moderna scienza politica all’opera di Niccolò Machiavelli, il quale con postulò il nesso fra una diffusa partecipazione popolare e la buona salute di una Repubblica.
Fra gli argomenti utilizzati da Machiavelli per sostenere le proprie tesi, affiorano alcune considerazioni “scandalose” per il pensiero politico della sua epoca, orientato a identificare il conflitto con la dissoluzione dell’ordine, e che prefigurano, tramite l’accettazione della disarmonia, della irriducibile diversità dei cittadini, il tema della moderna società civile.
Per Machiavelli, infatti, a determinate condizioni (che avvengano disputando anziché mediante lotte all’ultimo sangue), i conflitti giovano alla cosa pubblica estendendo il diritto alla partecipazione politica, favorendo le opportunità di innovazione istituzionale, garantendo la libertà dei cittadini e, soprattutto, producendo riconoscimento reciproco e, quindi, integrazione. Tale effetto, è bene evidenziare, non è prodotto dal conflitto in sé.
È solo dal conflitto “regolato” che possono nascere buoni frutti per una Repubblica. Ossia, è attraverso la condivisione di alcune regole che i conflitti possono essere gestiti con beneficio per la collettività. In un recente libro, Pier Paolo Portinaro (Le mani su Machiavelli, Donzelli, 2018) mette in guardia dall’elogio del tumulto, quale unica forma di manifestazione popolare.
Un altro grande pensatore quale Albert Otto Hirschman (Autosovversione, il Mulino, 1997) ricorda che il conflitto può agire «come colla e come solvente» per una società, per cui non abbiamo certezze «che i conflitti forniranno alla società il “capitale sociale” di cui ha bisogno per mantenersi unita. Che cosa succederà se, oltre a produrre questo capitale, ovvero questa “colla” sociale, il conflitto agisce anche come un solvente che dissolve i legami sociali, o come una carica di dinamite che li fa saltare in aria?».
Nel corso del Novecento (soprattutto nella sua seconda parte) le principali linee di frattura che hanno attraversato le società occidentali hanno trovato rappresentanza espressiva e organizzativa nella formazione di corpi intermedi (partiti e gruppi) che hanno dato struttura alle parti in conflitto, spesso evitando il rischio di deflagrazione dell’ordine politico.
I processi di personalizzazione e mediatizzazione che caratterizzano la nostra contemporaneità hanno indebolito le organizzazioni dei principali corpi intermedi.
Pertanto, la responsabilità di mantenere le dinamiche del conflitto all’interno delle regole della democrazia liberale ricade in modo maggiore sui leader. Quanto sta accadendo negli Stati Uniti ci mostra cosa può succedere quando un leader viene meno a tale funzione, dando spazio e legittimazione alle teorie complottiste sposate dagli assalitori del Congresso.
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