- Per Giorgia Meloni normalizzare il suo partito significa innanzitutto “de-demonizzarlo”. E la bandiera sotto cui avviene questa operazione assume il nome, ambizioso ma anche ambiguo, di “conservatorismo”.
- È la prima volta che un partito con ampi consensi nei sondaggi si presenta alle elezioni rivendicando un’etichetta antica e un po’ polverosa come quella di “conservatore”. Da qui l’entusiasmo con cui l’operazione è stata accolta in ambienti di centro-destra che quell’etichetta hanno cara.
- Ma si inganna chi crede che questa strategia possa offrire rappresentanza alle componenti dell’elettorato e dell’opinione pubblica più tradizionaliste senza compromettere l’edificio democratico e liberale fondato sulla difesa dei diritti costituzionali.
Quando un partito della destra radicale intende abbandonare posture minoritarie e candidarsi nientemeno che a governare una democrazia europea ha bisogno oggi, innanzitutto, di una strategia culturale. Parola d’ordine: normalizzare.
Per Giorgia Meloni, come è stato per Marine Le Pen in Francia, normalizzare significa innanzitutto “de-demonizzare” il proprio partito, depurarlo dei tratti neo o post-fascisti. E la bandiera sotto cui avviene questa operazione assume il nome, ambizioso ma anche ambiguo, di “conservatorismo”.
Si tratta, per molti versi, di una novità. È la prima volta che un partito con ampi consensi nei sondaggi si presenta alle elezioni rivendicando un’etichetta antica e un po’ polverosa come quella di “conservatore”. Inoltre, come ha già notato Lorenzo Castellani su questo giornale, il conservatorismo in stile anglosassone a cui Meloni a tratti sembra volersi richiamare non è mai realmente esistito in un paese come l’Italia, in cui la destra ha più spesso scelto il linguaggio della rottura e della “rivoluzione”.
Da qui l’entusiasmo con cui l’operazione è stata accolta in ambienti di centro-destra che quell’etichetta hanno cara, e sono lieti di trovare in questa Giorgia orgogliosamente “madre”, “italiana” e “cristiana” un alfiere dei loro valori. Ciò fa naturalmente gioco alla candidata premier in pectore, desiderosa di attrarre a sé un elettorato “moderato”.
Eppure, basta uno sguardo anche superficiale al programma di Fratelli d’Italia, o un ascolto distratto alla sua retorica pubblica, per comprendere che questa agenda volta alla “conservazione” dell’identità e tradizione italiana e occidentale rappresenta una dichiarazione di perpetua ostilità nei confronti dello stesso insieme di valori che si vanta di difendere dalla minaccia del declino e della cancellazione.
“Dio, patria e famiglia”, triade valoriale fascista, rappresenta l’espressione retorica di una politica dell’identità che difende i gruppi maggioritari dalle pretese delle minoranze, mobilitando le appartenenze di nazionalità, “razza”, cultura o religione per dividere il vero “popolo” dai suoi “nemici”.
Si inganna perciò chi crede che la strategia “conservatrice” di Giorgia Meloni possa offrire rappresentanza alle componenti dell’elettorato e dell’opinione pubblica più tradizionaliste senza compromettere l’edificio democratico e liberale fondato sulla difesa dei diritti costituzionali.
Il richiamo a una tradizione che fa della “natura”, o di un presunto passato immemorabile, il fondamento di un ordine immutabile che struttura istituzioni e gerarchie sociali, funziona come il cuore ideologico di un’agenda politica reazionaria, anti pluralista e anti egualitaria.
Questa politica oggi sfida apertamente un’altra tradizione: quella che, dalla Rivoluzione francese in poi, ci parla di libertà, uguaglianza, solidarietà.
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