Le parole sono segni pieni di significato: indicano come leggere il mondo, come comunicare con gli altri, quali propositi coltivare. Guerra e pace, violenza e vivere libero e civile: queste le coppie di parole sulle quali Mattarella ha delineato mentalità opposte, in tutti gli ambiti di vita, con esempi vivi.
“Mentalità” è il perno sul quale ruota il discorso di fine anno del presidente Sergio Mattarella, un esempio luminoso di realismo critico.
Le parole sono segni pieni di significato: indicano come leggere il mondo, come comunicare con gli altri, quali propositi coltivare. Guerra e pace, violenza e vivere libero e civile: queste le coppie di parole sulle quali Mattarella ha delineato mentalità opposte, in tutti gli ambiti di vita, con esempi vivi.
Nel lavoro: non basta apprezzare la crescita di occupazione se gli occupati hanno salari da fame e lavorano in condizione di non sicurezza; il lavoro dei liberi non è lavoro servo che umilia. Nelle relazioni sentimentali: non basta condannare la violenza contro le donne se gli esempi educativi presentano l’amore come possesso e non condivisione.
Nelle relazioni civili: non basta dirsi orgogliosi se l’orgoglio non vive nel rispetto degli altri, se non considera la persona come un eguale nella vulnerabilità. L’orgoglio degno alimenta una mentalità della solidarietà tra cittadini (nei momenti drammatici come l’alluvione in Romagna) e tra umani che rischiano la morte nel Mediterraneo (come a Cutro).
Il vivere civile
Questa è la mentalità che prepara la pace: la quale non è «astratto buonismo» ma «urgente e concreto esercizio di realismo» – si deve volere e costruire la pace. Educare una mentalità che guidi le azioni verso di essa: parafrasando Kant, Mattarella ha parlato della pace come principio di realtà che fa delle «guerre una eccezione da rimuovere».
Il diritto internazionale, i diritti umani, i limiti ai poteri costituiti: queste sono le guide all’azione che creano abiti mentali e di comportamento tra stati e persone. Sono comando morale di rispetto armato di diritti: «Rispettandosi, riconoscendo le ragioni dell’altro. Consapevoli che la libertà degli altri completa la nostra libertà. Vediamo, e incontriamo, la violenza anche nella vita quotidiana. Anche nel nostro paese».
Nelle relazioni tra i cittadini, la guerra ha il suo equivalente nella violenza, fisica e verbale; nel «culto della conflittualità»; nella discriminazione tra amici e nemici; nella squalificazione dell’altro se e quando non è dei nostri.
A questa mentalità violenta, Mattarella ha contrapposto la mentalità del vivere libero e civile, che si educa apprezzando il «valore di quanto vi è in comune; sviluppando confronto e dialogo».
La regressione della democrazia
È questa la condizione della partecipazione alla vita civile della nazione; una condizione di cui andare orgogliosi. È questo il patriottismo costituzionale che ci guida a reagire contro la «violenza verbale» e «le espressioni di denigrazione e di odio» che trasformano le relazioni civili in campi di guerra, che alimentano la mentalità della sopraffazione degli uomini sulle donne, di chi comanda su chi ubbidisce, di chi vince una gara elettorale su chi per il momento la perde.
Una mentalità violenta che nega l’eguaglianza e offende la dignità; che si mostra nelle «immani, differenze di retribuzione tra pochi superprivilegiati e tanti che vivono nel disagio» o nelle «difficoltà che si incontrano nel diritto alle cure sanitarie per tutti. Con liste d’attesa per visite ed esami, in tempi inaccettabilmente lunghi».
Che si alimenta facendo della lotta politica una passiva risposta a sondaggi, quasi a sostituire la partecipazione al voto. Che fa “regredire” la democrazia a guerra con altri mezzi, che rompe l’unità nazionale. Contro questo scenario di violenza, Mattarella ci ha proposto una mentalità di pace e vivere libero e civile. Un solo appunto critico: il silenzio sull’Europa.
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