- Le ultime elezioni regionali in Veneto hanno sancito il trionfo di Luca Zaia. L’ampiezza del suo successo consente al Presidente di gestire le politiche regionali con una leadership incontrastata, che confina in un cono d’ombra gli alleati.
- Si tratta di una situazione speciale e transitoria, poiché nel 2025 Zaia non potrà ricandidarsi alla guida della Regione Veneto.
- Oggi il “modello Veneto” è scosso dagli effetti delle crisi che hanno caratterizzato la prima parte del nuovo secolo. Accanto a imprese capaci di performance di assoluta eccellenza, molte altre patiscono gravi difficoltà. Una terra che, negli anni Ottanta e Novanta, si è contraddistinta per una peculiare vivacità politica oggi sembra ferma, in attesa. Nei prossimi mesi vedremo se riusciranno ad emergere nuove soluzioni ai nuovi problemi che deve affrontare il Veneto, magari da nuovi soggetti.
C’è peraltro da entrare nel merito di questo trionfo personale di Zaia, dipinto anche da voci della stampa estera come una figura emergente della politica italiana da proporre in antitesi a Salvini. In realtà si tratta di letture sommarie, così come quelle che riducono la sua affermazione alla tendenza dei cittadini a “raccogliersi attorno alla bandiera” (nella fattispecie: ai Presidenti di Regione) in seguito alla pandemia.
Le ragioni del successo di Zaia precedono la sovraesposizione mediatica da Covid, e sono legate alla sua indubbia abilità nel sintonizzarsi con il “localismo antistatalista” quale cultura politica diffusa nel Veneto, accompagnata da un’abile politica di comunicazione che ha cavalcato temi specifici e popolari quali la rivalutazione del marchio del prosecco e l’assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2026 a Cortina.
Queste caratteristiche della leadership di Zaia hanno impedito che si compisse in Veneto la svolta “nazionale” impressa da Salvini alla Lega, ma, al contempo, ancorano profondamente lo stesso Zaia al contesto di cui è espressione. Infatti, l’ingrediente principale della popolarità di Zaia è legato alla questione dell’autonomia del Veneto. E qui è macroscopico lo scarto tra parole e fatti: in tanti anni di aspre contrapposizioni con Roma, il Veneto di Zaia non è mai riuscito in realtà ad incassarne neanche le briciole, neppure quando nella capitale governava una maggioranza amica. Da vice di Galan prima e da Presidente di Regione poi, Zaia fin dal 2001 aveva la possibilità di aprire la trattativa con Roma per gestire più materie, senza ricorrere al referendum del 2017; ma se ne è ben guardato, e tuttora la partita è in sospeso.
Più complessivamente, l’impressione è che il Presidente della Regione abbia cavalcato i successi del “modello veneto” vincente in economia molto più che pilotarlo. Tuttavia, già nel passaggio di millennio, e ancor più a partire dalla crisi Lehman-Brothers del 2008, il modello è entrato in sofferenza, e da un tessuto economico mediamente virtuoso si è passati a una situazione a macchia di leopardo, con alcune imprese capaci di performance di assoluta eccellenza, e molte altre in pesante crisi. Ne risulta un contesto molto più autogestito e affidato alle doti dei singoli, che un quadro d’insieme regolato dalla politica: i soggetti economici, ma anche quelli sociali, non trovano nel sistema leghista quell’affidabilità e quel riferimento di cui sono orfani dai tempi d’oro della vecchia Democrazia Cristiana. Si viene così a creare una situazione fragile e delicata, che può incidere persino sull’enorme consenso accumulato da Zaia nel corso del tempo.
É chiaro comunque che molto del futuro del Veneto si giocherà sul piano dell’autonomia posto e imposto da Zaia. Il nodo di fondo non sta nella concessione di una effettiva maggior autonomia, che in qualche modo sembra scontata, ma nella concreta capacità del Veneto e delle sue classi dirigenti di saperla gestire al meglio.
Vicende come quelle delle devastanti crisi bancarie quali il Banco Popolare di Vicenza e Venetobanca di Montebelluna, e scandali epocali come quello del Mose, il sistema per la protezione di Venezia dalle acque alte, autorizzano a coltivare per lo meno qualche dubbio. Tutto questo mentre la regione si avvia ad affrontare un cambiamento radicale, dovuto principalmente al fattore economico dominato dalle tre grandi crisi che in questo primo ventennio degli anni Duemila sono andate a sovrapporsi (l’attentato Torri Gemelle nel 2001, il crollo di Lehman Brothers nel 2008, la pandemia Covid dal 2019) e al fattore demografico sotto due profili strategici: l’invecchiamento della popolazione e la pressione migratoria. Le tre crisi hanno inciso in maniera drammatica sull’economia veneta, che ha un suo punto di forza nell’export.
Quanto al fattore demografico, da anni la popolazione regionale da un lato è in flessione, dall’altro vede allargarsi sempre più la forbice tra persone che vivono più a lungo e calo delle nascite: il che nel medio e lungo periodo è destinato ad avere pesanti ripercussioni sul mercato del lavoro, rendendo indispensabile il ricorso agli immigrati, peraltro anch’essi sempre meno presenti proprio a causa della crisi.
Già in questa nuova legislatura Zaia e la Lega avranno forti difficoltà a gestire la situazione, oltretutto con maggiori responsabilità proprio in virtù del forte consenso acquisito. In una terra che, nel corso degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, ha contribuito in modo essenziale a ridefinire i rapporti politici dell’intero Paese, sarà di grande interesse verificare se, e in che modo, possano affiorare proposte politiche alternative in grado di proporre nuove soluzioni ai nuovi problemi che si stagliano di fronte al Veneto e di rendere meno scontata la dialettica politica della regione.
© Riproduzione riservata