Il tribunale di Bolzano ha sollevato la questione di legittimità costituzionale sul caso di una persona trans* che ha chiesto che nei suoi documenti sia indicato un terzo genere. In uno stato che non riconosce la possibilità del nonbinarismo, quella X appare fondamentale
Il mese scorso una persona trans* non binaria afab – assegnatx femmina alla nascita – ha promosso un ricorso al Tribunale di Bolzano per richiedere la rettifica dei documenti anagrafici indicando un terzo genere, non M o F ma X. Nonché ha richiesto l’operazione di ricostruzione di un torace maschile tramite intervento. La Corte di Bolzano ha accolto la richiesta e ha rimandato la delibera – non in suo potere – alla Consulta, delineando i principi costituzionali italiani perché questo sia perseguibile.
Per quanto riguarda la richiesta nella stessa sede di intervento chirurgico questo non deve stupire. In Italia è ancora necessaria una sentenza in tribunale – e relativa diagnosi di disforia di genere – sia per ottenere la rettifica dei documenti, sia per intraprendere percorsi affermativi della propria identità. L’impatto di intendere questi percorsi attraverso sentenze e diagnosi può sembrare paradossale nel 2024, ma è la realtà trans* a cui siamo obbligati.
Le diagnosi richieste e i trattamenti medici andrebbero piuttosto considerate come trattamenti medici coercitivi. Infatti, questo influisce sullo sguardo sociale alla transidentità come qualcosa di patologico che necessita approvazione e accertamento formale. In altre parole, inquadra i percorsi personali e tutti diversi – com’è vero per qualsiasi esperienza cis – come qualcosa regalato a una condizione medica da legittimare o meno. Risponde alla domanda: sei abbastanza trans*, abbastanza malatx, ma non troppo da poter accedere ai tuoi diritti fondamentali?
Pertanto, secondo quanto riportato nel parere definitivo di sopracitato Servizio psicologico, questa persona «si identifica fortemente come persona non binaria (...) la sua visione è quella di poter essere se stesso, di essere una persona non categorizzata come maschio o femmina. Per questo motivo desidera la terza opzione per la categorizzazione di genere, ovvero Diverso. I termini disforia di genere (DSM-5) e incongruenza di genere (ICD-11) includono sia le denominazioni di genere binarie (maschile/femminile) sia tutte le altre forme di definizione di genere (riassunte nel termine non-binario)».
La persona ha dato atto di essere riconosciuta in ogni ambito sociale col nome di “I.” e di aver deciso di vedere riconosciuta anche burocraticamente la propria identità avviando l'iter giudiziale per la rettifica dello stato anagrafico, richiedendo anche l'autorizzazione del Tribunale a sottoporsi agli interventi chirurgici confermativi del genere psichico, in prima battuta a una ricostruzione del torace (anche più nota come mastectomia). Nonostante nel nostro ordinamento sia possibile accedere a interventi di aumento o riduzione del seno semplicemente volendolo, la mastectomia è inquadrata invece come una mutilazione e non rientra nella semplice possibilità di autodeterminarsi, cioè di scegliere per sé al di fuori di altre condizioni mediche riconosciute.
Documenti nonbinari
Tornando a parlare del genere X sui documenti, la persona ha dichiarato che l'identità di genere nonbinaria – non ascrivibile alla rigida divisione uomo/donna – sarebbe un punto ormai acquisito dalla scienza medica e recepito dalla manualistica clinica ufficiale all'interno delle proprie classificazioni diagnostiche. Pertanto appare irragionevole che questa non sia una possibilità riconoscibile anche nei documenti.
Le persone trans* nonbinarie non si riconoscono né nell’identità maschile, né femminile, in entrambe o alternatamente nell’una e nell’altra.
Il Tribunale di Bolzano ha sospeso il procedimento e ha rimandato alla Consulta sollevando questione di legittimità costituzionale in relazione alla disciplina per la rettifica anagrafica vigente. I dubbi di legittimità costituzionale riguarderebbero sia nella scelta dicotomica M/F, sia nell’obbligare le persone trans* a dover passare per forza da un procedimento giudiziario per poter accedere a un percorso terapeutico. A partire dall’art. 3 della Costituzione che, sancendo il principio di uguaglianza dice che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
Scritta negli anni Quaranta, la Carta Costituzionale non cita espressamente l’identità di genere, tuttavia non ci sono dubbi che il principio di uguaglianza tuteli le persone trans*. Innanzitutto in nome del “principio personalista” che mette al centro del progetto costituzionale la persona con ogni bisogno, necessità e desiderio.
È importante ricordare che, del resto, l’art. 2 recita: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
In altre parole, la nostra Costituzione riconosce i diritti della persona al di là, e in ogni specificità, di qualsiasi condizione essa sia portatrice. Qualsiasi sia la sua identità: povera, ricca, bianca, razzializzata, abile, disabile, eterosessuale, omosessuale, lesbica, bisessuale, queer, cis o trans*. Inoltre, nello stesso articolo rafforza il concetto dichiarando che è responsabilità collettiva rimuovere ogni ostacolo che intralci la sua libertà e godimento dei diritti.
Senza arrivare alle legislazioni europee e internazionali, le cui Corti hanno più volte rilevato lacune nel nostro ordinamento come lesive dei diritti fondamentali della persona, configurando secondo il ricercatore trans* Matteo Bassetti reato di tortura, già nella Costituzione Italiana troviamo i principi fondamentali che dovrebbero spingerci a promuovere ed attuare una legislazione più giusta. Abbiamo davvero una delle carte costituzionali più belle del mondo. Non possiamo dire lo stesso delle nostre leggi.
Infatti, è spesso tramite sentenze apripista e non attraverso la volontà del legislatore che si aprono spiragli di possibilità per le persone trans*; e più in generale per la comunità lgbtqia+. Come questo primo precedente sul genere X per le persone trans* non binarie, che si inserisce in una letteratura legislativa europea. In Belgio hanno attualmente forse la legge più avanzata in termini di rettifica anagrafica e individua il terzo genere come opzione.
In Italia ci appare difficile perché riconoscere il genere X ha un impatto a catena su tutte le altre documentazioni e registri, ma difficoltà non è sinonimo di impossibilità. Tutti i cambiamenti burocratici sono complessi, ma questo non dovrebbe impedirne il perseguimento. Il discrimine è, come sempre, la volontà politica a farlo soprattutto se questa comporta il benessere delle persone.
Società degenderizzata
Personalmente, nutro l’aspirazione politica a vivere in una società degenderizzata dove il genere conti di meno perché sia possibile ogni identità. Non solo due o tre, ma molte di più. Il genere, secondo chi scrive, non dovrebbe essere ravvisabile sui documenti identificativi così come lo stato civile.
Tuttavia, in uno stato che non riconosce la possibilità del nonbinarismo, quella X appare fondamentale. Avere un terzo genere sui documenti non è solo uno spazio di esistenza per le persone trans* nonbinarie, ma anche di incontro/scontro a livello sociale, dove quell’identità diventa di colpo non solo visibile ma possibile.
Scontrarsi con l’incongruità sociale, gettare nel parapiglia un ufficiale che ti controlla i documenti, può essere un atto politico che mette in crisi il sistema binario uomo/donna e interroga i nostri apparati. Creare spazi pubblici di crisi, disagio ma soprattutto di conflitto appare necessario e questo conflitto andrebbe coltivato con ogni mezzo possibile, anche il proprio documento di identità. Finché la nostra esistenza sarà imprevista e fonte di conflitto, bisognerebbe impugnarlo e farlo vivere come spazio di resistenza.
Uno spazio forse difficile da abitare, innanzitutto per noi persone trans*, ma che finché genererà disagio nelle persone eterocis restituirà parzialmente il disagio che viviamo quotidianamente. Non come atto aggressivo – ma perché no – bensì come spazio per interrogarci insieme su quanto limitati siano le linee, invisibili ma tangibili, delle nostre società tali da trovare dibattibili e ostacolabili vissuti personali. Senza distinzione, recita la Carta Costituzionale. Sarebbe bello se fosse così. Finché non lo sarà quella distinzione rimane il primo avamposto della nostra battaglia.
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