L’avvocato ha scritto un parere pro veritate per un’associazione fiorentina: per legge al direttore non bastava chiedere l’aspettativa dal Museo di Capodimonte. Se fosse eletto, non potrebbe fare il sindaco: ma non gliel’hanno spiegato
Eike Schmidt, il candidato sindaco di Firenze scelto dalla destra, è ineleggibile. Lo sostiene l’avvocato e giurista Gianluigi Pellegrino in un parere pro veritate che gli è stato commissionato da un’associazione culturale cittadina, Zuc (Zone utopiche creative, ndr). Ora la destra prova a fare orecchie da mercante. Ma lo studio dimostra, in punta di legge, che la corsa del direttore del Museo di Capodimonte è una candidatura civetta.
Avvocato, perché Schmidt è «ineleggibile»?
Il nostro ordinamento disciplina in modo diverso alcune cause di ineleggibilità, per alcune imponendo che vengano rimosse al più tardi al momento della formalizzazione della candidatura. È il caso di Schmid. E lui ne è consapevole, tant’è che si è premurato di mettersi in aspettativa subito prima di formalizzare la candidatura. Ma non basta. Il tema è che, per espressa previsione del Testo unico degli enti locali, per il suo incarico l’aspettativa non è strumento idoneo a rimuovere l’ineleggibilità, perché distingue fra incarichi a tempo indeterminato e incarichi a tempo determinato. Aggiungendo che l’aspettativa è in sé incompatibile con i secondi. Faccio un esempio: se io ti assumo per fare l’attaccante della mia squadra per due campionati, e che se mai ha a breve un’importante partita e tu chiedi un’aspettativa, a me non mi servi più, e non so se fra un mese o cinque anni mi servirai ancora. Per questo l’aspettativa è un istituto tipico degli incarichi a tempo indeterminato, non applicabile a quelli a tempo determinato.
Schmidt le replica che le liste sono piene di dirigenti dello Stato in aspettativa.
Vero, ma omette, o non sa, che sono dirigenti a tempo indeterminato, per i quali l’aspettativa è applicabile. Per fare un esempio noto, quello che vale per un generale dell’esercito non vale per Schmidt. Anche la Cassazione ha tenuto ben fermo che per gli incarichi che sono per loro natura a tempo determinato è del tutto corretto che il legislatore stabilisca che non è applicabile l’aspettativa. E quello di Schmidt è un incarico, direttore di museo di rilievo nazionale, che per legge è di durata tra tre e cinque anni. Il suo è fissato in quattro, meno peraltro del mandato di sindaco. In ogni caso un incarico per il quale la legge non ammette l’aspettativa per rimuovere l’incandidabilità: ne richiede la cessazione prima della presentazione della candidatura. Ci sono tutti i requisiti non solo stabiliti dalla legge, ma anche ribaditi dalla Cassazione, per cui l’aspettativa non è applicabile. E si capisce la ragione: il ministero lo ha assunto perché ha bisogno ora e qui di un direttore d’eccellenza. Se vuole provare a fare il sindaco, doveva rinunciare alla direzione. Tutto qui, non si può avere botte piena e moglie ubriaca.
La norma non vale per tutti i contratti a tempo.
Se hai un contratto a tempo determinato per libera volontà del tuo datore di lavoro, si potrebbe ritenere non giustificato il divieto di aspettativa. Ma se il tempo determinato è per legge in ragione della natura dell’incarico, allora – ha detto la Cassazione – il divieto di aspettativa è pienamente giustificato e compatibile con il diritto costituzionale e comunitario.
Schmidt doveva dimettersi?
Se voleva candidarsi a sindaco, sì. Non l’ha fatto e non può essere eletto sindaco. È evidente, persino per certi versi comprensibile, che voleva un paracadute in caso di mancata elezione. Ma gli avrebbero dovuto spiegare che non era legalmente possibile.
Non basterebbe che si dimettesse in caso di elezione?
No, è un caso di ineleggibilità che per legge doveva essere rimossa prima della candidatura. Ci sono molte analoghe ipotesi, e quando non sono state rimosse, le elezioni non sono state validate. Basta fare una breve ricerca e se ne ha piena conferma.
Forse sa di perdere.
Può essere una spiegazione. Direi piuttosto che teme di non vincere. E evidentemente non si è fidato di altre rassicurazioni per il dopo, in caso di mancata elezione. Ha tenuto il piede in due scarpe. Una storia emblematica: il governo, e cioè il ministero della Cultura, gli ha concesso un’aspettativa che non gli spettava. Se non verrà eletto tornerà a Capodimonte e nessuno si accorgerà di niente. Se venisse eletto, dovrebbe essere il consiglio comunale in prima battuta a non convalidare l’elezione, anche se una sua maggioranza difficilmente lo farà. In tal caso dovrà intervenire il giudice, ed è facile immaginare che del tutto strumentalmente grideranno al solito golpe giudiziario.
Ma è verosimile che la destra non conosca la legge?
Non so dirle. È tutto talmente chiaro che forse la spiegazione è un’altra: in questa fase c’è una generale tendenza a guardare poco alle regole. In più, forse loro stessi ritengono che quella di Schmidt sia una candidatura di bandiera: difficile che vinca, il tema non si porrà. Se invece vince, e un giudice non convalida, avranno un tema di propaganda per mesi.
Gli avversari di Schmidt sapranno sfruttare l’occasione?
Intanto debbono essere i cittadini a rivendicare i loro diritti. In primis quelli di Napoli, che dovrebbero pretendere che un posto strategico del Museo non sia vacante per pura volontà del dottor Schmidt, né per un mese né per anni. Ma anche i cittadini di Firenze dovrebbero pretendere che valgano le regole che valgono per tutti. Non giova a nessuno che venga votato un sindaco che non può fare il sindaco. Va poi detto che gli avversari politici di Schmidt il problema lo hanno posto all’inizio; a volte manca l’approfondimento. E la sua traduzione in un linguaggio comprensibile all’elettorato. La politica spesso viaggia troppo in superficie. Ma in questo caso dovrebbe agevolmente capire che la questione, apparentemente tecnica, è chiarissima.
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