Io sono Giorgia, gridò al momento di cominciare la volata verso Palazzo Chigi, sul palco di piazza San Giovanni, il 19 ottobre 2019. Il traguardo è arrivato il 22 ottobre 2022, quando la prima donna premier ha giurato al Quirinale. Oggi è passato un anno, per Meloni è un anniversario di guerra, fuori di casa con il vertice del Cairo, e dentro casa, le mura familiari. Tra la Striscia di Gaza e Striscia la notizia, tra una tragedia mondiale e una domestica commedia all'italiana, di cui fu maestro lo zio della premier, lo sceneggiatore Agenore Incrocci, ovvero Age, fratello della nonna Zoe. Un anno dopo il programma di governo non si è visto, il progetto non c'è, la chiave del successo è solo lei, Giorgia. È in quell'io impossibile da declinare in un qualsiasi noi: il melonismo non è diventato partito, nonostante i tanti richiami alla comunità, non ha cambiato la narrazione del Paese, nonostante i ripetuti appelli al modo nuovo di fare il racconto italiano, non è visione di governo, si viaggia alla giornata. E ora è un io che non si ritrova in un noi, neppure in una coppia.
L'ultima pagina, il quinto passo e l'addio, è sembrata rafforzare l'immagine di Giorgia Meloni: una pietra che la goccia non corrode, una leader che non si spezza neppure di fronte agli affetti più cari. Ma prima dell'ultima pagina c'è il resto del libro. La questione più intrigante non è perché Andrea Giambruno sia stato cacciato di casa, ma il motivo per cui la stessa persona che un anno fa dichiarava al “Corriere” «non sono tipo da copertine o foto patinate» (28 settembre 2022) si è ritrovato in copertina su “Chi” in mezzo a un campo di grano, due giorni prima del pubblico ripudio presidenziale. Giambruno è stato messo sul palcoscenico, davanti al pubblico, lui non aspettava altro che esibirsi, pur non essendo opportuno o adeguato.
Tutti hanno potuto vederlo. La premier che governa il paese non ha saputo o non ha voluto governare le ambizioni di Giambruno, anche se ha intuito che da quell'inadeguatezza e da quell'inopportunità poteva arrivare una minaccia, come dimostra quel «non sono ricattabile» pronunciato contro Silvio Berlusconi un anno fa. Quando ormai Giambruno era diventato il volto più genuino del nuovo potere, è stato tirato giù da chi voleva ferire la sua compagna con una e poi con un'altra registrazione del retropalco che assomigliavano all'inizio di una valanga. La leader-premier-compagna è stata costretta a prendere le distanze per evitare la slavina: altri fuori onda, altre rivelazioni. Per tutelare se stessa e sua figlia, ma anche la dignità del ruolo che occupa e il suo potere.
Oggi è all'io della Meloni che hanno reso omaggio gli adulatori di corte e perfino Giuliano Ferrara, che non ne fa parte. È il suo punto di forza e il punto di fragilità. Giorgia Meloni è sola. E in fondo è la solitudine la dimensione in cui si muove meglio. Una solitudine che può essere condivisa, al più, con altre figure di strettissima fiducia, legami di sangue, tutti al femminile: la sorella, la madre, la figlia. Una condivisione non nascosta, ma rivendicata sui social. Tocca all'underdog, la ragazza della Garbatella, alludere a una royal family italiana come nessuno prima di lei aveva fatto, neppure Silvio Berlusconi. Il Cavaliere aveva compiuto il movimento opposto, la privatizzazione di ciò che è pubblico, il trasloco degli affari di Stato nelle case e nelle ville private, i suoi interessi imprenditoriali come primo punto dell'agenda di governo. Meloni, invece, identifica se stessa, la sua storia, la sua famiglia, i suoi valori con il suo governo, lo Stato, la Nazione.
È una prova di leadership, ma anche di incertezza. È il frutto (una pesca?) della personalizzazione della politica: trasformare il governo del Paese in una puntata di “House of Cards” o di “Borgen”. È il ritorno del Principe di Machiavelli, cinquecento anni dopo, quando il moderno principe di Gramsci, il partito, l'organismo collettivo, ha lasciato di nuovo il posto all'antico Principe, una persona, con i suoi odi, gli amori, le vendette, le debolezze, anche quando il Principe è una donna. La questione democratica, anche nei sistemi costituzionali europei e occidentali, è come evitare che la tensione tra le istituzioni, per definizione impersonali, e le persone che le occupano pro tempore, diventi distruttiva, come è accaduto negli Stati Uniti con Trump. Il caso Giambruno consegna Giorgia Meloni sospesa tra la normalità democratica e il fantasma di Evita, di cui parlò un anno fa su Domani Marco Follini, un pericolo da esorcizzare.
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