- Dopo tanti anni mi è capitato di sfogliare una bozza del Disegno di Legge di Bilancio 2022 (quella del 28 ottobre).
- Nulla è cambiato: sempre lo stesso documento deprimente, rappresentazione fedele dei mali che affliggono la pubblica amministrazione e la politica.
- Per il cittadino comune, un testo incomprensibile, che usa espressioni estranee all’italiano corrente.
Dopo tanti anni mi è capitato di sfogliare una bozza del Disegno di Legge di Bilancio 2022 (quella del 28 ottobre). Nulla è cambiato: sempre lo stesso documento deprimente, rappresentazione fedele dei mali che affliggono la pubblica amministrazione e la politica.
Per il cittadino comune, un testo incomprensibile, che usa espressioni estranee all’italiano corrente. Ci si trovano la “desertificazione commerciale” (art.107), le “facoltà assunzionali” (art.98) o “la povertà educativa” (art.33).
Incomprensibilità aggravata dal rimando continuo a commi, articoli, decreti legge e leggi in cui sono convertiti, con o senza “modificazioni”.
Come per esempio l’articolo 11, che recita: «La dotazione del fondo di cui all’articolo 72, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, è incrementata di 150 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026, per le finalità di cui alla lettera d) del medesimo comma». E così via per tutte le cento pagine della bozza.
La casta oscura
Il linguaggio ostico e i continui rimandi a una normativa vasta e frammentata conferiscono a funzionari e amministratori pubblici, che conoscono la materia, un potere che li rende una vera e propria casta, come i mandarini della Cina imperiale, e favorisce l’industria delle lobby, indispensabile per muoversi nella giungla del processo legislativo e della pubblica amministrazione.
Crea inoltre un terreno fertile per i colpi di mano da parte della politica e degli interessi di parte, con emendamenti, comma cancellati, o sub-articoli inseriti all’ultimo momento: più ostico il linguaggio, maggiore la complessità della legge, minore la trasparenza e l’assunzione di responsabilità di fronte all’opinione pubblica.
Da qui, l’assalto alla diligenza che caratterizza ogni anno l’approvazione della Legge di Bilancio.
La forma evidenzia anche il problema di un processo legislativo bulimico e farraginoso, che produce una struttura estremamente complessa di norme, a volte incoerenti, di cui spesso si perdono le finalità originali.
Da anni si ripete che la prima grande riforma dovrebbe essere la riorganizzazione delle leggi in Testi unici; temo si continuerà a ripeterlo.
La tecnica legislativa del rimando facilita anche il perpetuare di un capitolo di spesa che, deliberato in un anno per una specifica contingenza o un interesse particolare, diventa permanente, rifinanziato e “stabilizzato” anno dopo anno.
Per esempio il rifinanziamento della Nuova Sabatini (art. 10) avviene ai sensi di una legge del 2013; il Fondo rotativo 394 (art. 11) viene “stabilizzato” dal 1981; il Fondo Sociale (art.30) rifinanziato dal 2008, e così via.
L’inutile fretta
Nella Legge di Bilancio si mischiano elementi di riforme con interventi di spesa a favore di interessi di parte. Così, accanto alla riforma delle aliquote Irpef e la riorganizzazione della governance dell’Agenzia per la riscossione delle imposte, c’è anche l’Iva agevolata per assorbenti e tamponi femminili, o il limite all’utilizzo dei crediti di imposta nelle fusioni, disposti appositamente per l’abortita fusione di Mps con Unicredit.
La ragione di questa prassi deprecabile è che la Legge di Bilancio deve essere approvata entro una data certa, e diventa perciò un omnibus usato dal governo per far passare misure che sarebbero a rischio in Parlamento; dai partiti per guadagnare consensi; e da lobby varie per indirizzare risorse pubbliche verso interessi particolari.
Nella Legge di Bilancio c’è così di tutto: il famoso “super bonus” e quello per la cultura per i diciottenni; i 25 milioni per gli immobili dell’Archivio di Stato e la decontribuzione per le nuove cooperative di lavoratori; i 110 milioni per la riorganizzazione del Cnr e gli sgravi contributivi per le madri lavoratrici; la costituzione dell’Osservatorio nazionale per le parità di genere e i 30 milioni per gli acquisti delle biblioteche; i 90 per il sostegno straordinario all’editoria e i 150 per le “Infrastrutture stradali sostenibili” (sic!); i 1.450 milioni complessivi stanziati per il Giubileo del 2025 come i 30 euro l’anno per ciascun lavoratore della pesca marittima stabilito dal Fondo sociale.
Le microspese
La Legge stabilisce poi nel dettaglio i singoli capitoli di spesa, deresponsabilizzando in questo modo i ministeri e gli enti preposti all’erogazione.
Tanta complessità ingigantisce il problema dei controlli sull’effettivo rispetto delle regole, senza ridurre quello degli abusi; e gonfia una già pletorica burocrazia.
Per esempio, si istituisce un Comitato Strategico per il Piano di riorganizzazione e rilancio del Cnr, composto da 5 membri al costo di 232.700 euro; si introducono 2 ore settimanali di educazione motoria nella 4 e 5 elementare, al fine di «promuovere nei giovani l’assunzione di stili di vita funzionali alla crescita armoniosa”, e per questo si indice un Bando per docenti formati “da idoneo titolo e correlata classe di concorso»; si assumono 82 nuovi magistrati al costo nel 2022 di 5.777.557 euro esatti; e si assegnano 44 milioni per gli asili nido di Sicilia e Sardegna sulla «base di un'istruttoria tecnica condotta dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, allo scopo integrata con i rappresentanti delle regioni Siciliana e Sardegna, con il supporto di esperti del settore, e previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali».
Se capisco bene (ma non ne sono sicuro), la ragione della Legge di Bilancio in questa forma risiede nel principio del garantismo insito nel nostro diritto amministrativo: per ogni atto si deve avere la garanzia che sia stato autorizzato da chi ha il potere di farlo.
Ma forse la spiegazione vera è che dopo anni di criteri di Maastricht, Patto di stabilità, e “manovre” di finanza pubblica si sia stabilito una specie di equilibrio in cui il governo determina i macro aggregati di deficit e debito ma, fatto salvo il rispetto di questi ultimi, si lasci poi ai partiti e gli interessi costituiti spartirsi la torta. Un errore perché a volte per la crescita, più del deficit conta la struttura di spesa e imposte.
Modello europeo
Credo si possa fare diversamente, e riformare la legge di Bilancio, abbandonando il criterio garantista a favore di un sistema basato su budget affidati a ministeri ed enti locali (che in questo modo vengono responsabilizzati), specificando chiaramente gli obiettivi che si vogliono raggiungere, con indicazioni limitate ai macro capitoli spesa, e un sistema contabile “accrual” (ovvero di competenza) come ci richiede Eurostat per permettere un migliore controllo, e soprattutto per verificare ex-post l’efficacia dei provvedimenti. E lasciando le riforme ad apposite leggi.
Impossibile? No. Il Pnrr è proprio strutturato così: con chiari obiettivi divisi in 6 missioni, a loro volta suddivisi in tanti interventi, con specifica degli importi, cronoprogramma, modalità di monitoraggio e verifica dei risultati.
Basta immaginare di sostituire le Missioni del Pnrr con i ministeri, e si capisce come il Pnrr di fatto sia una Legge di Bilancio parallela, ma strutturata in modo da aumentare l’efficienza dell’intervento pubblico. Perché non adottarne il metodo e riformare la nostra Legge? Peccato che tra le “Riforme Abilitanti” del Pnrr proprio quella della Legge di Bilancio non ci sia.
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