È persino troppo facile mettere in fila i vistosi limiti del M5s nella sua versione originaria partorita dalla coppia Beppe Grillo-Gianroberto Casaleggio: un mix di ingenuità e di velleitarismo politico, il mito fallace della democrazia diretta che, come attesta l’esperienza, spesso si risolve nel suo contrario (qualche “auto-Eletto” che decide per tutti), la bizzarra e controversa massima dell’uno vale uno, le abbondanti concessioni all’antipolitica, la tesi corriva secondo la quale destra e sinistra pari sono, il linguaggio urticante.

E tuttavia, a distanza di quasi venti anni dalla sua nascita, un giudizio equanime dovrebbe riconoscere al Movimento una funzione e qualche merito. La funzione: avere parlamentarizzato sentimenti e umori che, se non rappresentati nelle istituzioni, avrebbero potuto prendere una piega decisamente più inquietante e persino violenta, come in altri paesi.

Il merito: avere posto all’attenzione della politica temi di oggettivo rilievo quali la partecipazione, la legalità, l’ambiente, la povertà. Pur con ricette discutibili. Non si spiegherebbero altrimenti due circostanze: che, nel punto più alto della parabola del suo consenso (2018), il M5s abbia raccolto il voto di un italiano su tre; che, nel suo primo tempo, esso abbia fatto breccia in un settore cospicuo dell’elettorato giovanile.

Ritorno alle origini

Dopo molteplici traversie, scissioni e convulsioni interne, ora il M5s è a un punto di svolta. Il suo leader Conte, che ha annunciato una fase costituente, e il suo carismatico fondatore e garante sono entrati in aperto conflitto. Sia lecito abbozzare un’opinione.

La via di un ritorno alle origini mi pare non solo meramente nostalgica e regressiva, ma persino impraticabile. Diverso il contesto, la temperie politica e culturale. Inopportuno azzerare una evoluzione che, pur con i suoi limiti e le sue contraddizioni, ha fatto segnare una maturazione politica e istituzionale. Una maturazione nella quale è innegabile il contributo di Conte, al netto di un certo suo camaleontismo. Gli analisti sostengono che il consenso al Movimento, ancorché calante, tuttavia ancora non disprezzabile, molto è ascrivibile al suo leader.

A Conte si devono talune acquisizioni preziose nella cultura politica del M5s: l’opzione europeista, la cultura di governo, la scelta di campo che, a Dio piacendo e dopo troppo lunga incertezza, sembra finalmente operata. Ancora manca – e non è poco, anche se non è limite del solo M5s – la sua strutturazione quale partito.

Per quanto in forme nuove, trattasi di traguardo obbligato: quello della sua conformazione al dettato dell’articolo 49 della Costituzione. Ovvero un’associazione di cittadini con fine politico e informata al metodo democratico interno. Con un suo statuto e sue regole (un tempo si rivendicava con orgoglio di non disporne), con un nucleo ideologico meglio definito, con una leadership contenibile. Non un partito personale quale rischia di essere oggi. Vedremo se il percorso annunciato saprà condurre a tale risultato. L’impressione è che Grillo non prospetti una visione alternativa praticabile, che egli si limiti a rievocare un passato non più riproducibile e che sia troppo segnato da un sentimento di esclusione personale.

Come un padre che non si rassegna all’autonomia del figlio. Oggi suona vieppiù fastidioso il linguaggio iperbolico ed enigmatico, tutto da decrittare, ma spesso semplicemente confuso e privo di senso plausibile, dei post di un brillante comico che fa episodiche incursioni nella politica. L’impressione di una tara personalistica si rinviene anche nei “reduci” che a lui si sono associati in queste ore. Esponenti che si sono smarriti lungo il percorso tormentato del Movimento.

Proprio la diaspora talvolta sconcertante conosciuta da un buon numero di esponenti del M5s – dall’impegno all’abbandono, dall’estrema sinistra all’estrema destra, buon ultimo un deputato approdato a FI – sta lì a dimostrare che indietro non si può tornare, che quello “stato nascente” con tutte le sue contraddizioni politiche poteva starci alle origini, ma oggi sarebbe un nostalgico, patetico ritorno a un tempo e a un luogo che non ci sono più.

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