- A partire da marzo la Bce comincerà a ridurre lo stock di titoli pubblici in proprio possesso che aveva acquistato negli scorsi anni, togliendo dal mercato una quota significativa del debito pubblico europeo.
- Gli attivi nel bilancio della Bce erano circa il 50 per cento del Pil dell’eurozona nel 2007, prima della crisi finanziaria globale, e sono oggi intorno al 250 per cento del PIL.
- Se questa massa di debito viene reimmessa nei mercati, sarà impossibile evitare tensioni e attacchi speculativi sul debito dei paesi percepiti come più deboli. Anche nella migliore delle ipotesi ci troveremo costretti a scelte draconiane tra programmi di austerità e investimento in beni pubblici (sanità, istruzione) o nella transizione ecologica e sociale.
Nelle ultime settimane è tornato d’attualità il Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, o Fondo salva stati. L’Italia è infatti l’unico paese che non ha ancora ratificato il Trattato intergovernativo che lo modifica.
Il dibattito sulla ratifica non è molto interessante: ratificare il Trattato non significa che poi si ricorrerà allo strumento; in secondo luogo, perché il Mes nella versione riformata non è fondamentalmente diverso da quello che fu introdotto nel 2012 per sistematizzare l’assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà.
Infine, il governo Meloni non ha nessun interesse a rinnegare gli impegni presi dai governi precedenti e a mettersi di traverso in Europa, in un momento di grande incertezza macroeconomica, di dubbi sulla reazione dei mercati alla fine dei programmi di acquisto di titoli da parte della Bce e di negoziati in corso sulla riforma del Patto di stabilità. Come già annunciato da Giorgia Meloni, il Trattato sarà dunque ratificato.
Il nuovo Mes
Il Mes è un fondo che può intervenire con prestiti a paesi che hanno perso l’accesso ai mercati, imponendo in cambio della propria assistenza programmi di aggiustamento strutturale delle finanze pubbliche; austerità, per intendersi.
È quello che fu fatto negli anni della crisi del debito sovrano, principalmente con la Grecia. Quanto la possibilità di commissariamento dei paesi fosse inestricabilmente incorporata nel Mes è stato evidente nel 2020, quando il tentativo di veicolare risorse verso i paesi europei per far fronte al Covid con una linea di credito “pandemica” si è rivelato un buco nell’acqua.
Nessun paese ha fatto ricorso al Mes sanitario, le cui condizionalità alleggerite non mettevano in realtà al riparo da possibili intrusioni delle autorità europee in un secondo momento.
Anche la riforma che aspetta la ratifica italiana, nonostante sia migliorativa rispetto all’esistente (il Mes potrà dare una mano in caso di crisi bancarie), non cambia la sostanza delle cose.
Il Mes continuerà ad essere visto, a ragione, come un possibile strumento per forzare i paesi che vi facessero ricorso a mettere in atto politiche d’austerità.
Il Mes come Fondo “salva stati” è una cartuccia bagnata. Per quanto ampia possa essere la sua dotazione di capitale e la sua capacità di finanziarsi sui mercati, essa sarebbe quasi certamente insufficiente in caso di crisi sistemica.
Tanto più oggi, nel 2022, quando dopo il decennio perduto dell’eurozona il debito pubblico è a livelli record; oggi, solo una banca centrale, con la capacità di creare moneta in modo illimitato, è in grado di fornire uno scudo credibile in caso di attacchi speculativi.
Anche per questo, che sia nella versione riformata o meno, è ormai improbabile che il Mes sia in futuro uno strumento utile per far fronte alle prossime crisi. È la constatazione da cui parte anche Francesco Giavazzi in un editoriale sul Corriere della Sera del 4 gennaio, in cui riprende la proposta di Stefano Micossi di trasformare il Mes in un’agenzia del debito.
Liberare la Bce
A partire da marzo la Bce a ridurre lo stock in proprio possesso di titoli pubblici che aveva acquistato negli scorsi tre lustri togliendo dal mercato una quota significativa del debito pubblico europeo. Basti un solo numero: gli attivi nel bilancio della Bce erano circa il 50 per cento del PIL dell’eurozona nel 2007, prima della crisi finanziaria globale, e sono oggi intorno al 250 per cento del PIL.
Se questa massa di debito viene reimmessa nei mercati, sarà impossibile evitare tensioni e attacchi speculativi sul debito dei paesi percepiti come più deboli. Anche nella migliore delle ipotesi ci troveremo costretti a scelte draconiane tra programmi di austerità e investimento in beni pubblici (sanità, istruzione) o nella transizione ecologica e sociale.
D’altro canto, la Bce non può continuare a tenersi in pancia tutto questo debito, che obbligandola ad occuparsi dello spread, le impedisce di operare normalmente e di perseguire i propri obiettivi di inflazione e di crescita del PIL.
La soluzione su cui molti economisti lavorano da anni è quella di trasferire il debito dalla Bce ad altri attori (delle "Agenzie del Debito", appunto), cercando da un lato di preservare la disciplina di bilancio e dall’altro di evitare la mutualizzazione del debito (politicamente indigesta tra i paesi detti "frugali").
Un’Agenzia del debito
La proposta di Micossi ripresa da Giavazzi è quella di conferire il debito pandemico al Mes, trovando così uno scopo per questo “ente inutile”, alleggerendo la Bce senza creare instabilità reimmettendo i titoli sui mercati. Questa soluzione è molto simile a quella avanzata da Marcello Minenna e coautori già nel 2018.
La mia preferenza va alla proposta avanzata da Massimo Amato e coautori, alla quale ho contribuito e della quale ho parlato su queste pagine, di creare una vera e propria Agenzia del Debito, che progressivamente sostituirebbe tutto il debito dei paesi membri con prestiti perpetui (togliendolo in maniera definitiva dal mercato).
Il fatto che la disciplina di bilancio dei paesi sarebbe garantita da tassi di interesse variabili e che ogni paese rimarrebbe responsabile in toto del proprio debito (senza la mutualizzazione tanto temuta dai paesi del Nord), rende questa proposta molto meno radicale di quanto non appaia a prima vista.
Insomma, la proposta Giavazzi non viene dal nulla; il fatto che economisti di estrazione diversa e con sensibilità diverse (riguardo ad esempio all’utilità, in questo frangente, di disavanzi importanti), concordino sul fatto che la normalizzazione della politica monetaria non può avvenire semplicemente riversando l’enorme stock di debito pubblico sui mercati, è indicativo dei rischi di implosione che corre la zona euro, tredici anni dopo l’inizio della crisi del debito sovrano.
Ognuna delle proposte brevemente evocate sopra ha pregi e difetti, ma esse mostrano tutte che la fattibilità tecnica di un’Agenzia del Debito non è un problema.
Quello che è da costruire è un consenso politico. Probabilmente in caso di una nuova crisi del debito i paesi frugali potrebbero toccare con mano il loro stesso interesse a trovare una soluzione per eliminare la frammentazione dei mercati.
È auspicabile che i loro dirigenti riescano a dimostrare sufficiente preveggenza e a trovare una soluzione prima che la crisi, inevitabilmente, si produca. Visto il piccolo cabotaggio degli ultimi Mesi, è difficile essere ottimisti.
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