- La Camera inizierà il 20 dicembre la discussione sul disegno di legge volto a regolare l’attività di lobbying.
- Si tratta di una data storica se si pensa che, dal 1948, nessuno dei 97 disegni di legge in materia era mai approdato alla discussione generale.
- I lobbisti dovranno iscriversi in un registro pubblico. Lascia perplessi la possibilità per gli ex parlamentari di fare i lobbisti e la mancata applicazione della legge a Confindustria e sindacati.
Lunedì prossimo la Camera dei deputati inizierà la discussione in aula sul disegno di legge volto a regolare l’attività di lobbying, a prima firma del deputato Francesco Silvestri.
Si tratta di una data storica se si pensa che, dal 1948, nessuno dei 97 disegni di legge in materia era mai approdato alla discussione generale nell’aula di uno dei due rami del parlamento.
Tale risultato va imputato alla caparbietà del presidente della commissione Affari Costituzionali, Giuseppe Brescia (M5s), e alla relatrice del provvedimento, Vittoria Baldino (M5s), che hanno saputo superare l’ostruzionismo di quasi tutte le forze politiche, nonché all’azione mediatica realizzata dall’associazione The good lobby.
Il testo che si discute in aula introduce diverse novità. Secondo il provvedimento, chiunque svolge attività di lobbying deve iscriversi in un registro pubblico, tenuto presso l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, indicando gli interessi che rappresenta e le risorse economiche e umane a disposizione, nonché elencando, settimanalmente, gli incontri avuti con i decisori.
Annualmente il lobbista deve presentare una relazione in cui sintetizza l’attività svolta e i risultati raggiunti, e gli è fatto divieto di finanziare, in qualsiasi modo (quindi anche durante la campagna elettorale), i decisori politici.
I punti critici
Diversi aspetti restano, però, critici. Nella definizione di decisore pubblico, ad esempio, sono inclusi i consiglieri dei municipi ma non gli unici veri decisori che ci sono in Italia: i burocrati ovvero i dirigenti statali, regionali e comunali. Poi: il provvedimento non istituisce alcun diritto per i lobbisti ma si limita a prevedere la possibilità per questi di accedere alle sedi pubbliche (se lo vuole il decisore), di formulare proposte ai decisori (senza che vi sia qualche obbligo di ascolto), di essere consultati (se richiesti).
Se l’obiettivo della legge è anche quello di migliorare la qualità della decisione, allora dovrebbe essere un diritto/dovere la partecipazione dei portatori di interesse al processo decisionale, secondo regole di rigorosa trasparenza, e non una mera concessione lasciata alla mercé del decisore di turno.
Ugualmente critico è il comitato di sorveglianza chiamato a verificare la corretta applicazione della legge, presieduto da un delegato del Cnel e da due magistrati. Avrebbe molto più senso affidare al Cnel la gestione del registro, essendo l’unico organo costituzionale chiamato a fungere da camera di composizione degli interessi organizzati nella società.
Da stigmatizzare anche il fatto che, per volontà di quasi tutti i partiti, è stato eliminato ogni divieto per gli ex parlamentari di svolgere attività di lobbying dopo la cessazione del mandato ed è stato ridotto a un anno per i membri del governo nazionale o regionale.
In tutte le democrazie tale divieto (che si chiama di “revolging door”) esiste, in media dura tre anni ed è ovviamente previsto per tutti i decisori. Delle due l’una: o i parlamentari ritengono di dover essere al di sopra della legge oppure considerano la loro attività talmente poco incisiva che non vi è possibilità che, cessato l’incarico, ci siano conflitti di interesse.
Ha lasciato, inoltre, perplessi la battaglia condotta dalle organizzazioni sindacali e imprenditoriali (in primis Confindustria) per non far applicare loro la legge, probabilmente confondendo il lobbying con la concertazione.
La perplessità deriva dal fatto che questa legge avrà anche il compito di dare finalmente sostanza al reato di traffico illecito di influenze, previsto dall’articolo 346-bis del codice penale.
All’indomani dell’introduzione di tale reato, la Corte di cassazione sottolineò la necessità di definire il confine del lobbying lecito, così da derivarne le fattispecie illecite. Va da sé, quindi, che quei soggetti non ricompresi nella definizione – data dalla legge – di lobbista “lecito” non potranno svolgere attività di rappresentanza di interessi e, se lo faranno, commetteranno un reato.
Il 20 dicembre la Camera avvierà l’esame e rinvierà a gennaio l’esame degli emendamenti e dei singoli articoli. Margini per intervenire a correggere i punti critici ci sono.
Quel che è certo è che una legge sul lobbying serve: serve ai tanti lobbisti seri e onesti ma serve soprattutto ai decisori pubblici che non hanno nulla da nascondere e che non si nascondo dietro al paravento dei lobbisti per non rendere conto delle proprie azioni. La legge sulle lobby è una legge coraggiosa. Staremo a vedere se le forze politiche avranno questo coraggio.
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