- Morto il fronte repubblicano, scrivono pressoché tutti, il Pd deve fare una campagna fondata sulle idee: assumendo un chiaro profilo di sinistra, dicono molti.
- Ma il Pd non ne sembra capace. Un anno fa il precedente segretario lo definì un partito che «parla solo di poltrone», in preda a «una guerriglia quotidiana».
- Se non ha idee, allora, il Pd abbracci la visione politica repubblicana, che immagina una società nella quale ciascuno possa camminare a testa alta tra i propri pari, guardando chiunque negli occhi.
«Il fronte repubblicano è morto», scrive Piero Ignazi su Domani, e il Pd deve tentare «una campagna elettorale all’attacco, con parole forti e mobilitanti». Una campagna a sinistra, suggerisce Stefano Feltri: «tornare a sinistra», risponde Gianni Cuperlo. Ma allora perché già il 25 luglio il Pd ha impugnato la bandiera di Mario Draghi, e poi ha preferito la via delle alleanze, come strategia elettorale, a quella delle idee?
Nel marzo 2021 il precedente segretario, Nicola Zingaretti, ha detto che nel Pd, mentre montava la terza ondata della pandemia, «si parlava solo di poltrone e primarie». Era un partito in preda a «una guerriglia quotidiana», aggiunse, del quale si «vergognava».
Un simile partito ha – e sa di avere – poche idee credibili da presentare agli elettori. Da esso ci si può attendere, al più, che dica di essere «di sinistra», per poi srotolare la litania dei mali sociali che desidera correggere (ad alcuni dei quali esso ha contribuito, con scelte più volentieri dimenticate che pubblicamente criticate).
Propongo un’altra strada. La situazione è sufficientemente disperata da consentire, oltre che richiedere, una sterzata vigorosa. Il Pd abbracci la visione repubblicana. Questo è il nome di una teoria politica che pone al centro il valore della libertà, intesa come autodeterminazione – ossia come il contrario della soggezione al potere incontrollato altrui. E su questa concezione costruisce la visione di una società nella quale ciascuno possa camminare a testa alta tra i propri pari, guardando chiunque negli occhi.
È una concezione diversa da quella liberale, oggi dominante, che fa coincidere la libertà con l’assenza di interferenze esterne nelle scelte individuali – e pertanto ignora le asimmetrie di potere.
Il paradosso dello schiavo libero chiarisce bene la differenza. Secondo la teoria liberale lo schiavo che abbia un padrone benevolo è libero, perché non subisce alcuna interferenza nelle proprie scelte.
Il repubblicano obietta che ciò dipende interamente dall’inclinazione del padrone, che può cambiare ed è saggio coltivare: lo schiavo non è libero perché la benevolenza del padrone non elimina la soggezione alla sua volontà, che tipicamente genera autocensura e una mentalità, appunto, servile.
Quindi per garantire la libertà dei cittadini lo stato non può limitarsi a impedire che altri interferiscano nelle loro scelte, come vogliono i liberali, ma deve assicurare a tutti una sfera all’interno della quale ciascuno sia padrone di sé stesso.
Una sfera di autodeterminazione, definita dai diritti fondamentali e irrobustita da risorse pubbliche – salute, istruzione, informazione – che rendano ciascuno capace di esercitare quei diritti secondo le proprie determinazioni.
Per capire se una persona è libera – scrive un repubblicano, le cui teorie riassumo nel numero del Mulino che esce il 9 settembre – conviene chiedersi se essa sia capace guardare gli altri dritto negli occhi, senza timore o reverenza: solo chi può guardare chiunque in questo modo è pienamente libero.
Difficilmente lo sarà il lavoratore precario, per esempio, se la prosecuzione del suo contratto dipende da decisioni sulle quali non ha diritti.
La visione repubblicana risponde all’aspirazione umana all’indipendenza, è limpida e coerente, e promette reali progressi verso l’emancipazione, specialmente in una società relativamente verticale come la nostra.
Candidare Carlo Cottarelli non esime il Pd dal proporre la visione di un’Italia più equa ed efficiente: proponga quella repubblicana.
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