Le risorse stanziate per il progetto sono le stesse di sempre. La politica estera passa da Farnesina e Cdp. E dalle mani dell’inquilina di palazzo Chigi
Quando Giorgia Meloni, all’inizio della legislatura, ha annunciato un piano strategico per le relazioni con l’Africa, ha avuto una intuizione ambiziosa e azzeccata.
L’Italia è geograficamente e storicamente vocata a fare da piattaforma nei rapporti tra Europa e Africa, ma fino ad allora nessun governo era riuscito a fare una regia delle iniziative del Sistema Italia per e con l’Africa. Non lo aveva fatto Prodi, primo premier a visitare l’Unione africana, né Renzi, che per primo promosse più di un viaggio nelle capitali africane.
Nessuno dei due aveva avuto l’intuizione di affiancare agli sforzi politici e diplomatici anche un piano di intervento pluriannuale con una strategia continentale. Per questo l’idea di Meloni ha generato tanto interesse, in Italia, in Africa e persino in Europa. Ma le idee ambiziose per diventare realtà devono avere gambe.
Il Piano Mattei presentato al parlamento rappresenta purtroppo una grande delusione. Non solo perché il testo trasmesso alle Camere contiene informazioni sbagliate sulle attività in corso e nella parte di inquadramento sembra l’estratto di un sussidiario scolastico.
Il Piano Mattei al momento è deludente per gli strumenti messi in campo: non si può fare un nuovo piano di interventi di peso per l’Africa con risorse, economiche e umane, invariate.
Poco peso
L’Italia pesa poco in Africa e non basterà mettere tutto quello che il nostro paese fa sotto una stessa etichetta per aumentare la nostra capacità di influenza. La Francia e la Germania, rispettivamente, stanziano 3 e 5 volte le risorse per i progetti di cooperazione con l’Africa di quanto non faccia l’Italia. Le persone che lavorano alla agenzia tedesca di cooperazione sono 25mila, nella omologa francese sono 3mila. In Italia, la Agenzia per la cooperazione allo sviluppo impiega 208 persone.
Se Meloni vuole fare sul serio, deve aumentare le risorse economiche e umane. Da un lato, prendendo spunto dalla legge spagnola, pianifichi un piano graduale di aumento delle risorse per la cooperazione (dallo 0,27 per cento del Pil nel 2023 allo 0,70 entro il 2030, come da impegni internazionali dell’Italia). Dall’altro faccia un piano di assunzioni straordinarie di funzionari pubblici esperti di cooperazione e Africa, come fatto per il Pnrr.
Al momento, il piano comprende una collazione di progetti, alcuni dei quali anche molto vecchi (il progetto Elmed tra Italia e Tunisia ad esempio è iniziato nel 2013), altri solo abbozzati sulla carta, altri sono progetti di aziende private che sarebbero comunque stati realizzati anche senza l’iniziativa del governo (come per esempio la notevole iniziativa africana di Bonifiche Ferraresi International). Di conseguenza, se si vuole fare un piano strategico e di impatto, bisognerebbe riscrivere il Piano seguendo il metodo utilizzato per il Pnrr, con indicatori, target e finalità precise, progetto per progetto, paese per paese.
Stesso approccio
Più volte gli esponenti di governo hanno spiegato che il Piano Mattei apre una nuova modalità di relazionarsi con l’Africa. Va in soffitta “la relazione tra donatore e beneficiario” e inizia una nuova forma di rapporto, che però, archiviata la solidarietà, sembra essere solo un vecchio modo transazionale di estrarre dall’Africa le materie prime, in particolare energetiche, lasciando in cambio alcuni progetti infrastrutturali. Il Piano ignora il principale problema che attraversa la fascia più critica per gli interessi di stabilità per l’Italia, ovvero la fascia saheliana, sconvolta da 8 colpi di stato in un anno.
Nel Piano Mattei dovrebbe essere contenuta una iniziativa straordinaria per rafforzare le capacità di mediazione dell’Italia nei contesti africani. Infine, la volontà vorace di controllo di Palazzo Chigi stravolge l’impianto di governance del sistema italiano per la cooperazione previsto dalla legge 125/2014.
La politica estera con l’Africa non la fa più la Farnesina e Cassa depositi e prestiti (Cdp), ma il primo ministro. Uno stravolgimento sostanziale delle funzioni della Farnesina, dell’Agenzia e di Cdp i cui benefici e rischi andrebbero soppesati più a fondo.
Dalla riuscita o dal fallimento del Piano Mattei dipende il futuro delle relazioni tra il nostro paese e il continente africano. È un orizzonte strategico che supera anche la durata di una governo o di una legislatura. Per questo, non ci sottrarremo al compito di incalzare il governo a fare sul serio nei rapporti Italia-Africa, contribuendo con le nostre idee.
© Riproduzione riservata