Sparizioni forzate. Detenzioni arbitrarie. Limitazioni alla libertà di stampa e di manifestazione. Persecuzione della comunità Lgbtq+. Torture ed esecuzioni capitali. Sono alcuni degli elementi ricorrenti nelle valutazioni che hanno portato il ministero degli Esteri a considerare un paese come sicuro, in cui poter rispedire i migranti che arrivano in Italia. È quanto emerge dalle schede tecniche della Farnesina, ottenute dall’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) tramite un accesso agli atti, sulla base delle quali il governo italiano ha ampliato la lista dei paesi di origine sicuri con un decreto del 7 maggio scorso.

Sei paesi in più rispetto ai 16 individuati a marzo 2023. Ad Albania, Algeria, Bosnia Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia sono stati aggiunti Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Perù e Sri Lanka. Un ampliamento che per molte associazioni è strumentale all’apertura dei centri per migranti che il governo Meloni sta costruendo in Albania. I paesi in lista, infatti, coincidono con le nazionalità di maggior arrivo. Altri, invece, compongono la platea del Piano Mattei tanto voluto da Giorgia Meloni, che mercoledì sarà di nuovo in Libia per partecipare al forum Trans-Mediterranean Migration, nel tentativo di creare ancor di più un imbuto e impedire alle persone di arrivare via mare.

E questo vuol dire aumentare il bacino dei potenziali richiedenti asilo che vengono sottoposti alle procedure accelerate di frontiera. Significa avere meno garanzie, tempi ristretti e una buona possibilità che la propria domanda di asilo venga rigettata perché, secondo le valutazioni ministeriali, la situazione del paese sarebbe tale da presumere che le richieste di protezione internazionale non siano fondate.

Il nuovo decreto

L’aggiornamento della lista dei paesi sicuri è previsto quando i governi vengono a conoscenza di un cambiamento significativo nel rispetto dei diritti umani di uno stato designato come sicuro. Qualora non venga più garantito lo stato di diritto, ci siano atti di persecuzione, tortura o trattamenti inumani e degradanti, il paese deve essere escluso dall’elenco. Ma dalle schede tecniche della Farnesina emerge tutt’altro. Molti degli stati inseriti nell’elenco «non figurano in nessun’altra lista tra quelle adottate dai paesi dell’Unione europea», spiega l’avvocata Giulia Vicini, socia di Asgi, «e non si vede come possano essere considerati sicuri alla luce di una nota situazione di instabilità interna». Ne è un esempio la Nigeria.

Le schede compilate dalla Farnesina, aggiunge Vicini, «dimostrano un’istruttoria non soltanto insufficiente ma anche fortemente contraddittoria nelle sue risultanze». Derive democratiche e gravi violazioni dei diritti fondamentali portano, in modo illogico, a considerare un paese sicuro: «Né è prova la massiccia raccomandazione da parte delle unità periferiche del Maeci di eccezioni». Per il ministero infatti un paese può essere sicuro con l’esclusione di alcune aree geografiche e categorie di persone.

Egitto

Una delle decisioni più discusse è quella di aver inserito l’Egitto nella nuova lista, tanto che 41 organizzazioni della società civile hanno chiesto al ministero degli Esteri di rivedere la scelta. Ma dalla Farnesina non si assumono la responsabilità della decisione, in un documento interno si legge che l’Egitto è stato inserito nella lista «su richiesta specifica del ministero dell’Interno» guidato da Matteo Piantedosi, lo stesso dicastero che si occupa delle procedure di rimpatrio.

Nella scheda paese stilata dalla Farnesina ci sono tutte le motivazioni per non considerare l’Egitto sicuro per chi cerca di scappare. Nel documento si legge che il paese nordafricano è tra quelli con il più alto numero di esecuzioni capitali e che il Comitato sulla tortura delle Nazioni unite «ha espresso preoccupazione per denunce di arresti arbitrari, detenzioni illegali, maltrattamenti, sparizioni forzate, mancanza di garanzie processuali e del giusto processo».

E ancora, «sono stati segnalati episodi di violazioni, in particolare nei confronti di avvocati per i diritti umani, attivisti per la difesa dei diritti, giornalisti e politici di opposizione». Una scheda dettagliata del regime che si conclude con una frase più che paradossale: «Alla luce di quanto indicato… si ritiene l’Egitto un paese di origine sicuro», si legge. E poi le eccezioni: «Si ritengono tuttavia necessarie eccezioni per gli oppositori politici, i dissidenti, gli attivisti e i difensori dei diritti umani».

Tunisia

Lo aveva detto chiaro e tondo l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio durante la sua visita a Tunisi nell’agosto del 2020: «Chi viene dalla Tunisia verrà rimpatriato perché essendo un paese nella lista dei paesi sicuri le persone non scappano da guerre o da persecuzioni». Guerra o meno, negli ultimi tre anni il presidente della Repubblica Kais Saied ha eroso tutti i capi saldi dello stato di diritto. E la Farnesina ha stilato per il paese nordafricano una scheda molto contraddittoria. «La legge vieta arresti e detenzioni arbitrarie, ma non sempre il divieto è rispettato», si legge nel documento.

E ancora: «La legge garantisce il diritto a un giusto processo», ma «si sono tuttavia registrati casi di misure cautelari disposte senza il vaglio di un’autorità giudiziaria». Libertà di stampa e di manifestazione, anche qui, «sono garantite dalla legge, con alcune gravi limitazioni». Sulla tortura, «la legge proibisce queste pratiche, ma diversi attivisti per i diritti umani hanno denunciato la pratica della tortura nelle stazioni di polizia e nei centri di detenzione». Insomma, tutte buone ragioni per non considerare il paese come sicuro.

Nigeria

Sulla Nigeria la relazione della Farnesina è chiara: il contesto interno e regionale è caratterizzato da una crescente instabilità e da una situazione «particolarmente critica», considerata la diffusione del terrorismo jihadista per mano di gruppi come Boko Haram e Iswap in alcune aree del paese. Ma le contraddizioni non finiscono qui. I sequestri di persona sono molto diffusi al nord della Nigeria, e non solo. Secondo i documenti del ministero, «non sussistono» atti di persecuzione nel paese, salvo precisare che la violenza domestica è diffusa, la libertà di espressione limitata, e i diritti della comunità Lgbtq+ – che subisce «soprusi, minacce ed estorsioni» – sono negati. I giornalisti, invece, sono spesso oggetto di violenze, molestie e intimidazioni.

Questo è il quadro fornito dalla scheda tecnica del Maeci che, dopo aver elencato tutte le violazioni conferma: «Si ritiene la Nigeria quale paese sicuro», ad eccezione di alcune soggettività, che «possono essere a rischio», e di alcune aree del nord-est, dove è attivo Boko Haram e le condizioni umanitarie sono «gravemente compromesse». Eccezioni che interessano gran parte della popolazione e del paese che, tuttavia, viene “bollato” come sicuro.

Bangladesh

Dal cruscotto statistico del Viminale, il Bangladesh risulta la prima nazionalità di ingresso: al 12 luglio del 2024 sono stati registrati 6.207 cittadini bangladesi. Non è un caso che il paese sia stato aggiunto tra quelli sicuri nell’ultimo aggiornamento. Ma come scrive il Maeci nella sua scheda il paese è caratterizzato da una scarsa indipendenza della magistratura, corruzione, un graduale restringimento della libertà di espressione e degli spazi di dissenso e l’arresto di migliaia oppositori politici. «Negli ultimi anni si registra un crescente autoritarismo del governo della premier Sheikh Hasina», si legge, al potere da oltre 15 anni. Ma il ministero sostiene che le violazioni segnalate non interessino le persone che arrivano in Italia, considerati a priori come migranti economici.

Vengono segnalate anche discriminazioni e violenze diffuse, soprattutto nei confronti della comunità Lgbtq+, l’impiego di lavoro minorile e forzato, così come forme di schiavitù per debiti derivanti dall’usura. Inoltre, «particolarmente grave è il fenomeno delle sparizioni forzate e delle esecuzioni extra-giudiziali», scrivono i funzionari. Dopo tali ragioni il Bangladesh può essere considerato un paese sicuro, ma non per determinati gruppi di persone.

La risposta della Farnesina

«C’è superficialità in questo aggiornamento», conclude Vicini, e deve allarmare ancor di più se si considera che dall’anno scorso una persona proveniente da questi paesi, oltre alle procedure accelerate, può correre il rischio di essere trattenuto alla frontiera. «Ed è preoccupante alla luce del protocollo siglato con l’Albania», conclude l’avvocata. Il ministero degli Esteri ha risposto a Domani che «la provenienza di un richiedente asilo da un paese designato come “sicuro” comporta in ogni caso l’esame individuale della domanda». E che le valutazioni dei vari paesi sono basate su una serie di fonti di organi internazionali autorevoli, tra cui anche l’Unhcr.

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