La vicenda del Movimento 5 stelle non è spiegabile con un’analisi psico-caratteriale di Beppe Grillo e di Giuseppe Conte. È semmai esemplificativa della democrazia populista nella sua forma più estrema: il movimentismo anti-partitico.

Il populismo ha un rapporto strabico con il partito, perché puó essere un limite alle ambizione del leader. Il quale, dunque, ha di fronte a sé due strade: o cattura un partito esistente e lo ridescrive secondo le sue ambizioni, oppure ne costruisce uno nuovo.

L’Italia, un paese unico nel mondo occidentale, ha prodotto populismo per mezzo di populismo almeno dal tempo in cui la corruzione e la fine della Guerra fredda spazzarono via i partiti tradizionali. Da allora, il Bel paese è al centro di un moto tellurico permanente – a tratti destabilizzante – di formazioni populistiche, o per cattura o per creazione.

Tra gli esempi di cattura ne rubrichiamo almeno due: Matteo Renzi con il Pd e Matteo Salvini con la Lega. Tra quelli di nuova creazione, Forza Italia e il Movimento 5 Stelle.

Il Pd di Renzi

I due esempi di cattura sono diversi tra loro, una diversità è indicativa della differenza che c’è tra populismo e personalizzazione della politica. Renzi prese un partito che non aveva una matrice populista, né nei contenuti né nella retorica. Non appartiene alla natura del Pd il presentarsi come rappresentativo del “popolo” vero e l’utilizzare uno stile manicheo che individua in un avversario esemplare (l’establishment politico) il suo appiglio identitario.

Quella di Renzi fu una politica personalistica, non populista. Il suo personalismo fu esemplificativo della fine del partito collettivo, quello, per intenderci, con una struttura ideologica e normativa autonoma dal segretario. Come hanno scritto Antonio Floridia e Gianfranco Pasquino, lo statuto del Pd fu pensato per consentire la personalizzazione, un leader plebiscitario intorno al quale l’intera macchina doveva ruotare: dalle alleanze, alla composizione delle liste elettorali, alla designazione dei candidati della politica locale. Partito leggero (negli organi interni di rappresentanza e di controllo) per una leadership plenipotenziaria.

La Lega di Salvini

Salvini è, invece, l’esempio perfetto di cattura di un partito esistente che era predisposto a questa operazione. La Lega fu populista dal momento della sua nascita: manichea, identitaria, radicalmente binaria. Nei contenuti, la Lega si propose subito come movimento-partito, non partito soltanto; con una forte base locale (nel Nord del paese) brandita come superiorità di una parte (il vero popolo, che lavora e che produce) sull’altra parte (che vive di assistenza statale e delle tasse di chi lavora e produce).

Anche la retorica inagurata dalla Lega era coerente con la reazione populista contro i partiti tradizionali: Umberto Bossi dipingeva i politici e i partiti che avevano governato l’Italia del Dopoguerra, come «corrotti» e cresciuti all’ombra del governo centrale. In questa reazione qualunquista e al fondo di destra (il disprezzo dell’Italia repubblicana fondata dai partiti) stavano le radici del populismo, che hanno nutrito i militanti e trovato un’espressione coerente in Salvini.

Forza Italia e il M5s

Gli esempi di nuova creazione di partiti populisti sono, invece, Forza Italia e il M5S. Soffermiamoci sul secondo, rinviando per il primo al recente libro di Piero Ignazi sul populismo di Silvio Berlusconi. Il movimento che Grillo ha fondato registrandolo alla Camera di commercio di Milano come un’associazione privata a tutti gli effetti, è stato il più radicale prodotto della rivolta insieme contro «Roma ladrona» lanciata da Bossi e contro il «comunismo» lanciata da Berlusconi.

Il partito non-partito, come si volle definire il M5s, raccolse il testimone di Guglielmo Giannini che nel 1945 propose di dar vita a un parlamento sorteggiato, per scongiurare la formazione dei partiti politici, esiti fatale delle elezioni.

Una democrazia senza partiti e con leader in permanente contatto con la “gente”, facitori dell’opinione popolare contro, non solo la democrazia elettorale, ma anche il linguaggio della politica. La mente fondatrice del Movimento, Gianroberto Casaleggio, sognava una governance che sostituisse il governo, tecnici ed esperti delle decisioni che mettessero fine a tutte le ideologie e alla politica. La tecnocrazia che doveva prendere il posto della politica. 

Oggi il M5s si trova al bivio piú importante della sua storia: o sciogliersi per non diventare un partito (e non tradire il sogno originario) oppure rifondarsi come partito. La lotta tra Grillo e Conte sta qui. E che sia stata lanciata da Grillo nella sua regione, la Liguria, proprio durante le elezioni, la dice lunga sulla natura destabilizzante della politica populista. Dal populismo non si esce con ritocchi. Si esce recidendone le radici. Il populismo non è riformabile. E fa male alla democrazia.

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