- Il segno della controriforma, della virata storica revanscista sta scritto proprio lì, sulla fronte della seconda carica dello stato.
- Non è vero che Giorgia Meloni sia una donna sola al comando del suo partito: Ignazio Benito la condiziona e gioca con lei, strappa spesso e volentieri per ricordarle che il potere va condiviso.
- E par di sentirlo, Gianfranco Fini che dopo aver chiesto dall’Annunziata di smetterla con la ritrosia sull’antifascismo, dirle: «Sbloccati e pronuncia quella parola lì, per l’amor di dio».
Si raccomanda Giorgia Meloni con i suoi: basta polemiche sul 25 aprile, fate i bravi. C’è da capirla: appena il presidente del Senato smette di far danni, inizia il ministro cognato. La sequenza di incidenti con la Storia, con “quella” Storia, è da galleria degli orrori. A cominciare dalle poltrone di sottogoverno affidate a impresentabili come Claudio Durigon, che voleva intitolare il parco Falcone e Borsellino di Latina ad Arnaldo Mussolini, Paola Frassinetti che partecipava con i neofascisti alle parate del Campo 10 a Milano in un tripudio di braccia tese, Galeazzo Bignami memorabile per la foto vestito da nazista con svastica al braccio e, più di recente, mentre fa video-scorribande fra le case popolari di Bologna mostrando sui citofoni i nomi degli “usurpatori” stranieri.
Si potrebbe continuare a lungo. Ma perché prendersela con questa masnada di nostalgici minori quando il segno della controriforma, della virata storica revanscista sta scritto proprio lì, sulla fronte della seconda carica dello stato?
Ignazio Benito La Russa, l’uomo che rassicura i marciatori di Predappio. Sono convinto che, per il secondo scranno dello Stato, il suo nome Giorgia Meloni lo avrebbe scartato volentieri. Ma non ha potuto. Innanzitutto, la sua classe dirigente è quel che è. Ed è ancora troppo forte la quota regressista e nostalgica, prepotente la presa dei La Russa, trapiantati da Paternò a Milano e garanti di assetti immobiliari, studi legali, interessi imprenditoriali.
Tra Fini e La Russa
Non è vero che Giorgia Meloni sia una donna sola al comando del suo partito: Ignazio Benito la condiziona e gioca con lei, strappa spesso e volentieri per ricordarle che il potere va condiviso. Come spiegare altrimenti la conferma di suo fratello Romano all’assessorato alla sicurezza della Lombardia dopo essere stato sgamato al funerale di un camerata con tanto di saluti fascisti? Giorgia e Ignazio Benito sono al bivio. Lui derubrica le Fosse Ardeatine a rappresaglia causata dai partigiani per aver ammazzato a via Rasella una banda di orchestrali. Poi, ostinato, nega che la Costituzione sia antifascista. Infine vola a Praga per togliersi dagli impicci del 25 aprile, commemorando gli ebrei uccisi e il sacrificio dell’eroe antisovietico Jan Palach. Capito la furbata?
Intanto Giorgia, inciampata pure lei sulle Fosse Ardeatine, ondeggia fra desiderio di tener testa a chi le chiede di sciogliere i nodi della memoria e consapevolezza che l’assedio della Storia non le darà tregua. E par di sentirlo, Gianfranco Fini, suo suggeritore occulto che, proprio ieri, è andato dall’Annunziata a dire che non giustifica la “ritrosia” nell’usare l’aggettivo antifascista. Dopo aver letto il presidente della Camera Fontana definirsi «pienamente antifascista» – lo scarto leghista è assai maligno – il fondatore di An avrà avuto voglia di chiamare Giorgia a muso duro: «Sbloccati e pronuncia quella parola lì, per l’amor di dio». Se lei lo farà, avremo forse, finalmente, una donna di Stato.
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