- Lo tsunami mediatico che ha preso il via dalla tragica morte del neonato avvenuta all’ospedale Pertini di Roma ha il merito di aver scoperchiato consuetudini inaccettabili su cui sarebbe importante intervenire subito
- Tra i danni che il dibattito ha lasciato sul campo, però, c’è il presupposto, mai messo in discussione, che il piccolo sia stato soffocato dal peso della mamma, crollata dal sonno. Ma questa è un’ipotesi ancora da dimostrare
- Mentre è importante che si interrompa il clima di colpevolizzazione delle mamme, non possiamo consentire che pratiche da condannare diventino il pretesto per favorire altre agende o interessi
Come d’incanto, dopo tre giorni in cui il tema ha monopolizzato notiziari, dibattiti, social media, di maternità non si parla più. È il ciclo delle notizie, bellezza. Il pubblico si getta con foga su qualunque questione che tocchi emotività, valori, esperienze di ognuno, ma con altrettanta rapidità se ne stanca. Arriva Sanremo, che come tutti sappiamo è più che un festival canoro, ma la principale sorgente di polemiche del nostro paese.
Quest’anno, poi, si dice debba addirittura ospitare Zelensky: chi pensa più alle mamme abbandonate nei reparti, sole con i loro bambini? È ora di voltare pagina, anche se tutto questo clamore, oltre a non aver portato a nulla, lascia i giovani genitori in uno stato di angoscia e paura.
Difficilmente le terribili testimonianze di questi giorni saranno di aiuto a chi sta andando incontro alla nascita di un figlio, un momento che nonostante tutto dovrebbe essere indimenticabile, né a chi lo ha appena superato e sta vivendo le straordinarie, ma faticosissime, prime settimane che lo seguono. Le donne in particolare, al di là del trattamento che ricevono nei primi due giorni in ospedale, una volta tornate a casa sono ancora più sole, senza più nemmeno una o più compagne di stanza con cui condividere dubbi, preoccupazioni e paure. Il padre torna presto al lavoro, la famiglia di origine per molte giovani coppie è una realtà lontana, o viceversa, troppo ingombrante. Se non immediatamente, dopo pochi giorni la giovane mamma resta comunque sola col piccolo per la maggior parte del tempo.
Lo tsunami mediatico che ha preso il via dalla tragica morte del neonato avvenuta qualche settimana fa all’ospedale Pertini di Roma ha il merito di aver scoperchiato un malessere diffuso e consuetudini inaccettabili su cui sarebbe importante intervenire subito, con indicazioni chiare e concrete ai primari e ai direttori sanitari delle strutture che hanno consentito di trasformare il rooming-in in quello che è stato raccontato in questi giorni.
Tra i danni che il dibattito ha lasciato sul campo, però, c’è il presupposto, mai messo in discussione, che il piccolo sia stato soffocato dal peso della mamma, crollata dal sonno. Nel puntare il dito sulla pratica di abbandonare subito il piccolo alle cure della puerpera, esausta e spesso impreparata, pur accusando chi non l’ha sostenuta, si riconduce implicitamente a lei, pur con tutte le attenuanti, la responsabilità diretta dell’accaduto. Mi sembra di vedere le giovani mamme, già preda di tante ansie, che ora hanno paura di ripetere lo stesso, involontario, errore: chiudere gli occhi per un momento.
I dati
Dal punto di vista scientifico però questa non è affatto l’ipotesi più probabile per spiegare il decesso del piccolo. Quello di Roma potrebbe infatti essere dovuto a diverse altre cause che, qualora saranno dimostrate dalle indagini, temo non troveranno lo stesso spazio sui giornali.
Oltre a possibili malformazioni e anomalie patologiche non riconosciute alla nascita, il piccolo potrebbe infatti essere stato vittima di un caso di Supc (Sudden Unexpected Postnatal Collapse), per cui bimbi nati a termine e apparentemente sani vanno incontro nei primi giorni dopo la nascita a un’improvvisa e imprevedibile compromissione del sistema respiratorio e cardiocircolatorio, indipendentemente dal fatto che siano in nursery o nella camera con la mamma. Talvolta immediate cure intensive neonatali possono salvare il piccolo, con il rischio che comunque riporti lesioni cerebrali, ma in altri casi anche un intervento immediato non può fare nulla. E non è detto che in mezzo a tante culle il personale si accorga di qualcosa che non va prima della mamma che dorme a pochi centimetri di distanza da suo figlio.
Insieme agli eventi che si verificano nel primo mese di vita (Suend, Sudden Unexplained Early Neonatal Death), questi episodi rientrano nella definizione comune di “morte in culla”, con un acronimo inglese Suid (Sudden Unexpected Infant Death).
Secondo gli ultimi dati questa tragedia stronca nel primo anno di vita un piccolo ogni anno su 3.400 negli Stati Uniti: in questo calcolo sono inclusi i casi di strangolamento, per esempio da lenzuolini, o soffocamento, quelli in cui non si riconosce alcuna causa e quelli dovuti alla cosiddetta Sids (Sudden Infant Death Syndrome). In Italia si stima che siano circa 200-250 l’anno, e si verificano per lo più prima dei sei mesi, soprattutto tra i due e i tre mesi di età.
Buone pratiche
Prima degli anni Novanta, questi episodi colpivano circa un neonato su mille, mentre oggi la loro incidenza è più che dimezzata grazie a una serie di misure che si sono dimostrate in grado di ridurre il rischio andando in alcuni casi contro quelle che sembravano indicazioni di “buon senso”. Prima di tutto il piccolo, fin dai primi giorni, va messo a dormire supino, cioè con la pancia in su (mentre prima si consigliava il contrario, pensando – senza prove - che questa posizione potesse favorire l’aspirazione di un eventuale rigurgito).
Poi, nonostante l’ossessione per il freddo della cultura italiana, non va tenuto troppo al caldo. Anzi, è meglio evitare sia pigiamini o coperte pesanti, sia un eccessivo riscaldamento dell’ambiente: una temperatura ottimale nella stanza dovrebbe essere tra i 18 e i 20°C. Il materasso deve essere piuttosto rigido, la culla di dimensioni adeguate, senza cuscini, paracolpi, trapunte, pelouche o altri oggetti.
Dovrebbe essere superfluo sottolineare la necessità che il piccolo sia tenuto in un ambiente libero dal fumo, e che alla gestante è consigliato evitare le sigarette anche durante la gravidanza.
È vero che farlo dormire nel lettone (bed-sharing) può essere pericoloso, soprattutto nei primi mesi e quando i genitori possono avere uno stato di coscienza alterato da sostanze o stanchezza, ma anche il sito del Ministero della salute suggerisce che la mamma allatti a letto piuttosto che sul divano, “rimuovendo tutti gli oggetti soffici e assicurandosi che il bambino non possa cadere, se si sente molto stanca e vi è la possibilità che si addormenti allattando”.
Il nodo rooming-in
Tenere il piccolo nella stanza con i genitori (co-sleeping) è invece considerato protettivo. Non ha basi scientifiche quindi sostenere che sia stato il rooming-in di per sé, che ne è la versione “ospedaliera”, ad aver provocato la tragedia. Avere la possibilità di tenere con sé il proprio bambino anche nei suoi primi giorni di vita è stata una grande conquista delle donne della mia generazione.
Non una manifestazione di violenza ostetrica, ma, al contrario, un passo avanti nella direzione di un maggiore rispetto per le madri dopo decenni di estrema medicalizzazione della nascita. Suscita quindi angoscia e rabbia sentire in questi giorni come pare sia applicata in molti ospedali del nostro paese, non per lasciare alla mamma il suo bambino o la sua bambina, così come è naturale, ma per risparmiare sui costi di strutture e personale. La sua applicazione nel senso di un totale abbandono della puerpera, come pare sia diventata la prassi in molti ospedali, ne è una degenerazione inaccettabile.
L’uso della cronaca
Così come inaccettabile, a mio parere, è diventato però il modo in cui in Italia i singoli casi di cronaca più toccanti siano utilizzati per scardinare conquiste civili e difendere interessi politici ed economici. Spero non sfugga la modalità con cui si è evoluto il discorso sulle neo mamme costrette ad accudire da subito i loro bambini anche quando ancora molto stanche o dolenti per il parto.
Da un lato la sofferenza reale delle donne che pagano la carenza di personale e di una cultura del rispetto negli ospedali è stata sfruttata per sottolineare i vantaggi delle strutture private rispetto all’inadeguatezza della sanità pubblica, dall’altro, gli eccessi, la colpevolizzazione, i ricatti morali alle donne che non se la sentono di allattare, o di farlo immediatamente, sono stati trasformati in un collettivo spot nazionale ad altissima penetrazione e costo zero a favore del latte artificiale in formula. Che non va criminalizzato, come non vanno stigmatizzate le donne che per necessità o per scelta lo preferiscono. I bambini crescono bene lo stesso.
Ma che l’allattamento al seno dia vantaggi a entrambi non è una convinzione ideologica, quanto una consolidata evidenza scientifica. Pretendiamo che i genitori siano rispettati, insieme alle loro scelte, prese con consapevolezza, qualunque queste siano. Ma non consentiamo che cattive pratiche da condannare diventino pretesto per agende politiche o interessi economici nemmeno troppo nascosti.
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