A qualche esponente della maggioranza forse sfuggono alcuni principi fondamentali in tema di libertà di informazione, costituzionalmente garantita. Il riferimento è al deputato di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura della Camera, che ha convocato in audizione Urbano Cairo, editore de La7, e Lilli Gruber, giornalista e conduttrice di Otto e Mezzo, per «fare chiarezza» sulla trasmissione.
I fatti
Durante una puntata sul femminicidio di Giulia Cecchettin, Lilli Gruber aveva affermato che in Italia c’è una «forte cultura patriarcale e che questa destra-destra al potere non la sta proprio contrastando tanto». La giornalista si era poi domandata se il fatto che Giorgia Meloni voglia «essere chiamata ‘il’ e non ‘la’ presidente del Consiglio» fosse espressione di «una cultura di destra patriarcale».
Meloni aveva reagito pubblicando una foto con figlia, madre e nonna, in un post ove affermava che la sua non poteva dirsi una famiglia di “cultura patriarcale”. Gruber aveva a propria volta replicato che è «sempre pericoloso, per il buon funzionamento democratico, quando un/una presidente del Consiglio attacca direttamente la stampa e singoli giornalisti».
Poi è intervenuto Mollicone, che ha definito come «ridicolo, grottesco e al di fuori di ogni deontologia professionale» quanto detto in Tv da Gruber a Meloni, annunciando la convocazione della giornalista e di Cairo.
Le competenze della commissione Cultura
La commissione Cultura si occupa, tra le altre materie, di cultura, scienza, spettacolo, editoria, informazione, compresa quella radiotelevisiva, mediante attività legislativa (in sede referente, consultiva, legislativa, redigente) e funzioni di indirizzo, controllo, informazione. Nell’esercizio dei propri compiti, essa può manifestare orientamenti o definire indirizzi, esprimere pareri o rilievi su schemi di atti normativi del governo, fare audizioni formali o informali e indagini conoscitive.
Dunque, ben può la commissione Cultura convocare Cairo e Gruber, ed esponenti di altre reti, su temi di competenza. Ma le regole vigenti non attribuiscono a tale commissione, come a nessun’altra, il potere di sindacare le scelte editoriali di una Tv privata, le modalità di conduzione di programmi o la connotazione politica degli ospiti.
Potere che, invece, Mollicone sembrerebbe volersi arrogare, dato il contenuto del duro comunicato – arrivato subito dopo lo scambio tra Gruber e Meloni – con cui ha dato notizia della convocazione dell’editore e della giornalista. Quasi come una sorta di atto di ritorsione, per non dire di intimidazione.
Libertà di informazione e pluralismo
Circa il pluralismo, a Mollicone gioverebbe la lettura di alcune sentenze della Corte costituzionale. È vero che il principio del pluralismo “interno”, che consiste nel dare voce all’interno di un’emittente «a tutte, o al maggior numero possibile di opinioni, tendenze, correnti di pensiero politiche, sociali e culturali» (n. 826/1988), è riferito dalla legge sia all’emittente che fornisce il servizio pubblico sia alle emittenti private (legge n. 233/1990).
Ma per queste ultime il pluralismo interno va contemperato con due libertà costituzionalmente garantite a tali imprese (n. 420/1994): la libertà di iniziativa economica (art. 41) e la libertà di informazione (art. 21). Solo in periodo pre-elettorale tali libertà possono essere obbligatoriamente ridotte con paletti volti ad assicurare parità di presenze politiche (par condicio).
Per le emittenti private, più che di pluralismo interno, deve parlarsi di pluralismo “esterno”, vale a dire la garanzia che il «massimo numero possibile di voci diverse» possano accedere al sistema radiotelevisivo (n. 112/1993). Infatti, solo una pluralità di reti concorrenti garantisce la «formazione consapevole della volontà del cittadino-utente» (n. 155/2002), al quale dev’essere data la possibilità di attingere a fonti differenti, con idee e prospettive varie, nel panorama dell’informazione.
Detto questo, è il pubblico che deve valutare la qualità delle trasmissioni televisive, punendole eventualmente attraverso gli ascolti. Non il presidente di una commissione parlamentare.
Alle emittenti private non possono essere prescritti obblighi che condizionino la linea editoriale o il modo di fare programmi. Perché se, in nome di un qualche principio, si pretende di limitare la loro libertà di impresa, il risultato è quello di limitare anche la loro libertà di informazione. Il presidente della Commissione cultura forse lo ignora. O, forse, non lo ignora affatto.
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