Salvini attacca Mattarella e dice una cosa vera: esiste una dittatura della minoranza. Ma è quella della destra. Il risultato inglese, il voto francese e il presidente svolazzante Orbán: serve una conferenza Ue per isolarlo
I veloci mutamenti in corso nelle prospettive e negli equilibri politici sono il segno di una crisi della sovranità nazionale, definitiva, forse irreversibile. Naturalmente ogni paese europeo che non ha saputo affrontare il problema della riconversione della sovranità nazionale in sovranità sovranazionale, affronta il tema in maniera diversa.
Nel Regno unito, il caso più clamoroso perché la sovranità nazionale è stata portata fino all’estremo limite dell’uscita dall’Unione europea, non è un caso che il partito conservatore che ha guidato questa operazione, registra un insuccesso storico. Vince il partito laburista, che si oppose, e che fa dell'’europeismo la cifra del suo futuro politico.
Ed è significativo il recupero dell’europeismo da parte dei britannici avvenga sotto i colori di un grande partito della tradizione socialista, legato alla difesa del mondo del lavoro, al progresso sociale e all’internazionalismo.
Con buona pace degli affossatori del socialismo, che in un secolo hanno esercitato il loro potere, alla fine sempre senza successo, possiamo dire che il sole dell’avvenire nasce ad ovest.
Il sovranismo non ha trionfato. Vedremo il risultato del voto oggi in Francia, ma anche lì il sovranismo non ha ottenuto il rovesciamento politico a cui puntava. Comunque vada, lo spirito democratico dei fronti popolari ha frenato – vedremo quanto – questo processo.
Quella francese è la situazione più delicata: la Francia è il paese della tradizione dei fronti popolari, ma del facile passaggio alla guerra civile animata dalle forze reazionarie. È un paese sul quale bisogna tenere lo sguardo nei prossimi giorni: lì qualcosa potrebbe improvvisamente sfuggire di mano e esplodere.
Il Codice di Camaldoli
Importante è anche la crisi del sovranismo in Italia. Un elemento da approfondire con un richiamo storico che affonda le sue radici nella stessa costruzione dello stato unitario nazionale, che nasce con un conflitto fra Chiesa e Stato e con l’editto del Non expedit, cioè il divieto ai cattolici di partecipare alla vita politica organizzata, democratica, e alla costruzione dello stato unitario, sin dal 1861. Un editto unico al mondo, da parte della Chiesa.
Il Non expedit, all'inizio del 900, entrava profondamente in conflitto con le esigenze del paese, del suo sviluppo economico. Il dispositivo di astensionismo e non partecipazione dei cattolici, i suoi limiti, i suoi effetti, la sua opportunità, aprì nel mondo cattolico una discussione.
Nel 1907 fu Giuseppe Toniolo, un professore di economia, a dare vita alle Settimane sociali. Erano un modo per chiamare il pensiero di cattolici, non solo delle élite ma anche delle sue espressioni popolari, a riflettere sulla necessità di far cadere questo vincolo auto-esclusionista. La storia fu lunga, Toniolo non riuscì a vedere la caduta del Non expedit, che avvenne nel 1919, perché morì l’anno prima.
La storia delle Settimane sociali è importante perché coincide sempre con atti e manifestazioni in cui si esprime la forte sensibilità del mondo cattolico più avanzato a capire i problemi del futuro in connessione con storia: tradizione, vincoli religiosi, errori, superamenti e nuove valutazioni.
Le Settimane sociali furono interrotte dal fascismo. Ma è molto significativo che dopo essere state sospese, ripresero nel luglio del 1943. E il Codice di Camaldoli, che è la manifestazione di pensiero della Settimana sociale allora convocata, è del 25 luglio: coincide con la caduta del fascismo.
Le Settimane andarono avanti nella loro costruzione della vita democratica. Ebbero un’interruzione negli anni 70, perché in quell’epoca si era diffuso autonomamente il pensiero e la posizione dei cattolici nel sistema politico organizzato del paese. Per poi riprendere nel 1991.
In questi giorni, nella loro cinquantesima edizione come sempre dedicata al tema della costruzione della democrazia, hanno improvvisamente ripreso peso e e rilevanza politica grazie ai due discorsi pronunciati dal presidente della Repubblica Mattarella e dal presidente della Conferenza Episcopale Zuppi.
Sono due discorsi sovrapponibili. Vi si stabilisce che la democrazia non è un fatto definitivo, ma che si conquista allargando, immettendo forze, coinvolgendo energie, e soprattutto non respingendo nessuno: non vale solo nella vita economica e sociale ma in quella politica.
È l’atto di accusa che viene rivolto dal presidente della Repubblica non alle forze politiche, ma contro il pericolo permanente, nella vita organizzata, che sotto il finto nome di riforme istituzionali vengano immessi meccanismi volti a escludere, respingere, modificare profondamente il pensiero della Carta Costituzionale.
Il capo dello Stato ha richiamato il Codice di Camaldoli, cioè il grande atto di passaggio fra il fascismo e il nuovo stato democratico in Italia, la nuova partecipazione democratica, ovvero la partecipazione alla Costituente da parte del gruppo della Settimana sociale. Che insieme alle altre forze e alle altre energie vive del pensiero del socialismo e del liberalismo democratico costruirono non una cattedrale astratta di parole, ma una Carta della vita democratica del paese.
La minoranza è la destra
Quando Salvini, il capo della Lega, si rivolge con aria stizzita a Mattarella dicendo che non c’è una dittatura della maggioranza, ma della minoranza, dice una cosa forse vera: che quella attuale della destra non è la dittatura della maggioranza, ma di una minoranza.
E forse questa è l’accusa vera, profonda: il tentativo è ancora in atto e deve essere fermato con una sollecitazione democratica. Che non è solo la raccolta delle firme per il referendum abrogativo contro l’autonomia differenziata, ma una mobilitazione per la caduta immediata di questo governo, che ormai è legato alle sorti della fine del sovranismo che sta travolgendo l’ispirazione della destra in Europa. Ispirazione fallita, per fortuna: i sovranismi erano un suicidio politico.
È questo il punto da affrontare con chiarezza e immediatezza. Il governo di destra in Italia è un pericolo per l’Italia e per lo sviluppo della democrazia. Questo ci ha detto a Trieste la Settimana sociale.
Ora bisogna che ce lo dica l’intero schieramento delle forze democratiche, eredi di quelle che nel 1943 si unirono al grido di allarme del Codice di Camaldoli, che poi si riversò nei partiti della Costituente e da essi nella Costituzione.
Se il sole dell’avvenire ha trovato un posto dove rinascere nell’ovest, facciamo sì che ora trovi in Italia un posto per far rinascere la riscossa democratica dell’unità sovranazionale europea nel nostro paese. Cacciando questo governo irresponsabile.
Il sovranista svolazzante
Attenzione, anche nuovi sovranisti si aggirano per l’Europa, forse più pericolosi di quelli declinanti. Sono i sovranisti filorussi, tanti, ben distribuiti nelle forze politiche, in larga maggioranza nella destra. Per il momento hanno un capo svolazzante, il presidente di turno dell’Unione, l’ungherese Orbán. Vanno subito isolati.
Per farlo, sarebbe utile una conferenza dei capi di stato e di governo dei ventisette paesi per stabilire un limite nelle relazioni autonome internazionali da parte dei singoli stati dell'Unione.
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