Se gli imperi che si contendono l’Europa vantano divisioni corazzate e fatturati miliardari, noi europei potremmo costruire la nostra identità a partire da una “cultura del welfare” che ci appartiene da sempre
In Francia è d’uso comune un’espressione a tratti angosciante, ma che ben descrive lo stato d’animo diffuso e singolare di questo periodo dell’anno: la rentrée, il rientro. Vale per le scuole, gli uffici, le aziende, e non ultimo per le aule parlamentari che riaprono insieme ai numerosi dossier lasciati inevasi prima della sosta estiva. Quest’anno, tuttavia, la “rentrée” della politica avviene nella prospettiva di un esame finale eccezionalmente impegnativo: le elezioni per il rinnovo del parlamento europeo previste per giugno 2024.
È verosimile immaginare che, come da tradizione, noi italiani ci presenteremo con qualche insufficienza e con le idee poco chiare su come dovremmo prepararci per arrivare pronti all’appuntamento.
Ma il disordine potrebbe rivelarsi più marcato del solito, a giudicare dal panorama politico nazionale: assistiamo a mosse inusuali, in cui i partiti considerati paladini del liberismo economico si cimentano in manovre redistributive, e le forze socialdemocratiche puntano sul salario minimo, a parziale discapito della contrattazione collettiva.
Il trionfo del liberismo
In verità, la confusione non è un tratto esclusivo della politica odierna: da tempo destra e sinistra hanno dovuto fare i conti con il trionfo del liberismo, a lungo magnificato come unico modello di sviluppo possibile, costringendo tutti a riconsiderare i cardini stessi delle proprie dottrine sociali. Dal disorientamento che ne è scaturito è tuttavia emersa una constatazione ormai comune ai più: con il liberismo si è esagerato.
Non è solo il nostro paese ad essersene accorto: la necessità di immaginare regole per indirizzare e contenere gli eccessi del mercato globale è ormai riconosciuta dalla grande maggioranza delle forze politiche in Europa. Un flebile segnale di condivisione che presenta un’inedita opportunità: se debitamente coltivato, potrebbe diventare il primo passo per una visione identitaria collettiva di cui l’Europa ha un disperato bisogno. Chissà, potrebbe addirittura rappresentare l’inizio di un “sovranismo europeo”.
Proprio la mancanza di uno spirito sovrano condiviso è tra le ragioni che hanno permesso a grandi imperi geopolitici ed economici di contendersi il primato d’influenza sul nostro continente. A questo vuoto di identità e progettualità comuni è urgente oggi dare risposta rivolgendoci proprio al cuore della nostra tradizione più antica: se gli “altri” sprigionano la loro “volontà di potenza” vantando divisioni corazzate e fatturati miliardari, noi conserviamo la “volontà di conoscenza” e di libertà intellettuale che ha concorso a plasmare la cultura mondiale fin dagli albori del suo concepimento.
La cultura del welfare
La razionalità del progresso scientifico, la consapevolezza dell’uguaglianza degli uomini e persino i diritti dei lavoratori: tutto è nato tra il Manzanarre e il Danubio. Conquiste che hanno contribuito a sviluppare la “cultura del welfare”, lontana dal mero assistenzialismo e tesa a mettere al centro della propria missione il benessere di tutti i cittadini.
Se cominciassimo ad abbracciare l’idea di essere eredi di questa tradizione, allora noi Europei potremmo dichiararci con orgoglio “sovranisti” del nostro continente, alimentando due orientamenti ben definiti. All’interno dei nostri confini, avanzando proposte di politiche sociali comuni, a partire da quella coscienza di “benessere umano” al centro della nostra idea di progresso.
Al di fuori, ribadendo la ferma volontà di un’Europa che non intende rimanere schiacciata o subalterna a questo o quell’altro impero e che, se proprio deve ergere muri, lo fa per arginare i profitti disinvolti delle multinazionali globali o la propaganda di chi vorrebbe ogni stato contro il suo vicino. Un’Unione europea forte di questa consapevolezza potrebbe far sentire la propria voce, rivendicando un ruolo da protagonista e finanche da mediatrice tra le forze globali.
Se lavorassimo per questo, non avremmo motivo di inquietarci per gli esami europei: a qualsiasi interrogazione sapremmo trovare la risposta nella nostra comune identità.
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