Mi è capitato di recente di fare lezione sul nuovo Patto di Stabilità Europeo che ridisegna le politiche pubbliche degli stati dell’area euro; ho avuto anche la fortuna di discutere queste lezioni con Dtjona e Adela (Università di Tirana).
Le loro domande sull’orizzonte europeo riflettono il desiderio di questo paese di entrare in Europa. Uscendo dai soliti e inutili cliscé (Brancaccio, Il Manifesto, 25 maggio), ho fissato scientificamente alcune questioni di politica economica e sociale che attraversano l’Europa.
Provo a fissare una idea e una ipotesi di lavoro: l’Europa e l’euro conoscono solo il presente; l’Europa e l’euro non immaginano una dimensione internazionale; l’Europa e l’euro sono ammalati (immaginari?).
Quale è la malattia che impedisce all’Europa di diventare adulta? La CECA e il trattato di Maastricht hanno, probabilmente, offerto un orizzonte di politica economica comunitaria; in troppi hanno pensato che questo orizzonte fosse destinato a durare per sempre e che, come in tutte le favole, “tutti vissero felici e contenti”.
In economia e nella società, però, accade sempre qualcosa; sebbene ricordiamo la pandemia del 2020, questa è stata un evento esterno e speriamo unico.
Occasione unica
Poteva la pandemia cambiare la politica economica? Quando si presentano eventi eccezionali, la polita e la politica economica rispondono con la crescita della spesa pubblica, oppure con misure straordinarie da parte delle banche centrali.
Questa risposta rimane per definizione definita nel tempo e con risorse finanziarie una tantum, quelle stanziate dal Next Generation EU. Utilizziamo una metafora: si è interrotto il flusso dell’energia e si è spenta la luce; l’intervento pubblico ha fatto partire il generatore di emergenza.
In realtà, la Storia ha offerto all’Europa una occasione unica; durante la crisi dei subprime del 2008 è andata in crisi una idea di politica economica.
In troppi hanno lavorato per continuare le vecchie politiche economiche e pochi hanno fatto i conti con la crisi. Qualche economista riformista ha indagato le ragioni della crisi, a Hollywood hanno fatto anche un film (“La grande scommessa”), ma nessuno ha compreso la profondità sistemica.
Nuovo paradigma
A partire dal 2009 il mondo è cambiato e si è aperto un nuovo paradigma tecnico-economico e un nuovo scenario geopolitico. La politica economica ha continuato con i soliti cliscé, ma questi cliscé non sono adeguati ad affrontare questo nuovo e inedito scenario. La politica nazionale si è chiusa; non capiva e si rifugiava nelle vecchie abitudini più o meno identitarie.
L’Europa si avvicina agli Stati Uniti; la Storia insegna all’Europa che gli USA sono amici. L’Europa non ha compreso che è cambiato il paradigma di riferimento. L’Europa è ancora una bambina che cerca aiuto alla propria madre, ma la mamma non c’è più: è anziana e stanca, ed è diventata anche troppo egoista.
Voglio offrire un orizzonte positivo. Tutti i bambini attraversano un periodo in cui si separano dai propri genitori e questo passaggio non è semplice, ma necessario.
Il Patto necessario
Speriamo nella capacità di adattamento e crescita dell’Europa. Non c’è un’altra soluzione possibile. Nessuno Stato europeo è sufficiente per misurarsi con la nuova geopolitica.
Il nuovo patto europeo nasce vecchio: è un po’ meglio di quello precedente. Forse possiamo migliorarlo, ma all’Europa serve un Patto Europeo grande nelle idee e capace di ritagliarsi un ruolo (adulto) a livello internazionale.
Quando insegniamo economia e rappresentiamo lo Stato affermiamo che lo Stato ha potere quando stampa moneta, ha una banca centrale, impone le tasse, ha un bilancio pubblico e un ufficio statistico. Senza questi presupposti lo Stato (Europa) non esiste. In sintesi, l’Europa ha la moneta, una banca centrale, un ufficio statistico, ma non può imporre tasse e quindi non ha un autonomo bilancio.
Quanto tempo serve per realizzare questi obbiettivi? Speriamo di realizzarli in tempo, cioè prima di essere infine sopraffatti da est come da ovest. In altri termini l’Europa sembra ancora troppo un bambino/a viziata.
Un’analisi psicologica? Consiglio sempre di leggere i grandi teorici dell’economia che consideravano l’economia una scienza sociale e usavano spesso questa categoria.
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