L’avanzata della destra non si arresta. I risultati delle legislative francesi lo confermano una volta di più. Le crisi degli ultimi vent’anni hanno eroso la fiducia nelle forze politiche tradizionali.
Nessuna di queste è stata in grado di fornire una prospettiva mobilitante. Moderati e progressisti hanno lasciato il campo a chi prospetta un futuro diverso e, inevitabilmente, più attraente.
Per quanto siano farlocche le suggestioni di un mondo migliore avanzate dai vari populisti, almeno queste forniscono una speranza, distolgono dalle delusioni, incanalano la frustrazione e la rabbia. La politica europea è irriconoscibile rispetto agli assetti presenti all’inizio di questo millennio.
Famiglie in crisi
Le tre grandi famiglie politico-ideologiche che hanno dominato il Novecento – laici moderati, cristiano-democratici e socialisti – si sono consunte, con alcune, parziali, eccezioni, dai laburisti inglesi che, tra qualche giorno, dovrebbero vincere e tornare al governo, alla Cdu tedesca che tuttavia ha abbandonato ogni richiamo confessionale.
I nuovi arrivati sulla scena europea, partiti non a caso definiti “challenger”, sfidanti, si sono affermati con un messaggio aggressivo, anti-establishment, e anti-istituzionale.
Emmanuel Macron aveva vinto nel 2017 perché si era presentato anche in questa veste. Il suo manifesto politico si intitolava Révolution: i partiti sono finiti, e destra e sinistra non hanno più senso, scriveva allora, in sintonia curiosa con Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.
I partiti esistono
Invece le elezioni di ieri hanno dimostrato che i partiti esistono ancora se hanno la capacità di interpretare i sentimenti profondi della società. Il Rassemblement national, nato sotto diverso nome nel lontano 1972, ha saputo resistere attraversando anni di «sarcasmi e isolamento» come aveva detto un tempo il suo fondatore, Jean-Marie Le Pen.
Proprio la crisi contemporanea del partito gollista e di quello socialista aveva lasciato campo libero a Macron, ma in realtà dissodava il terreno per un’alternativa radicale, e più strutturata. Che non poteva essere che il Rassemblement national di Marine Le Pen. Era solo questione di tempo e di finestre di opportunità.
La dissoluzione dell’Assemblea immediatamente dopo le elezioni europee ha offerto al Rn la grande occasione per bissare il successo ottenuto tre settimane fa. L’azzardo proto-gollista di Macron – o con me o il diluvio nero – non è riuscito: il presidente ha raggranellato qualche voto rispetto alle europee ma non è più il maître du jeu.
Il blocco repubblicano
Anzi, ha sempre le sembianze di un apprendista stregone. Il primo turno vede un sostanziali pareggio tra lepenisti e oppositori. Gli eletti con il 50,1 per cento sono 76 di cui 39 al Rn e 31 al Nouveau Front Populaire, più qualche altro centrista.
Sembrerebbe una partita aperta, ma non è così perché l’evocazione del blocco repubblicano da parte del primo ministro Gabriel Attal e, in maniera più incerta, dallo stesso presidente, non ha possibilità di essere accolta. Troppo profonde le divisioni tra gli oppositori di Le Pen.
La demonizzazione di Jean-Luc Mélénchon e del suo partito è andata troppo in là per consentire delle ricuciture in così breve tempo. L’equazione Rn uguale France Insoumise lanciata da Macron e seguita dalla gran parte dell’establishment ha tolto ogni remora alla destra per votare chi si considera il meno peggio, e cioè il partito di Le Pen.
Muro verso sinistra
Anche se gli ex gollisti hanno salvato l’onore rifiutando un apparentamento con il Rn al primo turno, molti dei suoi elettori non avranno esitazione nel preferire l’estrema destra, o votandola direttamente o astenendosi nel caso vi sia un candidato targato di Mélénchon.
La disciplina repubblicana riproposta da tutta la sinistra, France Insoumise per prima, che ha dichiarato la desistenza di tutti i suoi candidati arrivati in terza posizione, non troverà reciprocità al centro e a destra. In questi mesi è stato alzato un muro verso sinistra, mentre veniva sgretolato quello a destra.
L’esperimento centrista di Macron in realtà ha avuto l’effetto perverso di aumentare la polarizzazione, favorendo alla fine un esito inconcepibile fino qualche mese fa. La Francia è l’epicentro di una crisi continentale che chiama in causa le classi dirigenti moderate e di sinistra che di fronte alle crisi degli ultimi vent’anni si sono rivelate al di sotto del loro compito: rinsaldare fiducia nella democrazia alimentando la speranza nel futuro. La delusione delle opinioni pubbliche occidentali è stata tale da spingerle a provare anche l’impensabile (e l’impresentabile).
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