Nel suo intervento al Forum Ambrosetti il presidente della Repubblica ha ribadito l’esigenza ineludibile di abbattere il debito. In altre parole, di fare ciò che serve per cambiare la percezione dei mercati sulla rischiosità del debito italiano, percezione che non dipende solo dal volume del debito ma anche dalle prospettive di crescita dell’economia
Nell’intervento al Forum Ambrosetti di Cernobbio il presidente Sergio Mattarella ha posto una “domanda semplice” ma fondamentale: il vincolo esterno, che concerne i paesi indebitati, deriva dalle regole o semplicemente dal debito?
L’Italia, con un debito pari a circa la metà della somma di quelli di Germania e Francia, nel 2023, ha pagato per interessi grosso modo la stessa cifra pagata insieme da quei due paesi. Il motivo, naturalmente, è il tasso di interesse più elevato che i mercati finanziari richiedono per assorbire i titoli del debito pubblico italiano.
Eppure, nota giustamente il presidente, l’Italia è un debitore onorabile con una storia trentennale di avanzi primari (saldi di bilancio al netto della spesa per interessi) annui. Per sviluppare ulteriormente questo argomento, si può ricordare che nel periodo dalla crisi finanziaria del 2008-2009 alla pandemia del 2020 nell’Unione europea solo due paesi hanno mantenuto costantemente un avanzo primario: la Germania e l’Italia.
Al contrario, Francia e Spagna hanno mostrato pressoché costantemente disavanzi primari. Ciò nonostante, l’Italia ha sempre pagato, a partire dalla crisi dei debiti sovrani del 2011, tassi di interesse significativamente più alti non solo della Germania ma anche di Francia e Spagna.
In precedenza, a partire dall’annuncio, a metà degli anni ’90, dell’istituzione della moneta unica, i tassi di interesse di tutti questi paesi sostanzialmente coincidevano. Per l’Italia un risparmio enorme che per quasi vent’anni ha costituito il dividendo dell’euro.
La crisi del debito greco
La percezione dei mercati era che la moneta unica, oltre ad aver eliminato il rischio di cambio, associato alla denominazione dei debiti nelle monete nazionali, aveva eliminato anche il rischio di insolvenza (anche solo parziale) del paese emittente.
La crisi del debito greco ha cambiato radicalmente questa percezione e ha portato alla crisi dei debiti sovrani, un fenomeno esclusivamente europeo. Fenomeno che si può giudicare autoinflitto, se si considera che non si sarebbe potuto verificare se l’unione monetaria fosse stata completata da una almeno parziale unione fiscale.
Sulla strada evocata nell’intervento di Mattarella, «mettere a sistema in termini fiscali ed economici quanto oggi appare affidato alla sola Banca centrale europea», non ci sono stati progressi significativi.
La riforma delle regole fiscali europee approvata la scorsa primavera, pur con dei miglioramenti rispetto allo status quo, è ben al di sotto di quanto sarebbe stato necessario. Davanti a sfide epocali come le transizioni energetica e digitale, le dinamiche demografiche, le esigenze di una difesa europea, si continua a ritenere prioritario per il complesso dell’Unione la riduzione del debito pubblico di tutti gli stati membri. Senza prefigurare lo sviluppo di una capacità fiscale centrale, un bilancio europeo di dimensioni sufficienti.
Cambiare la percezione
Su questo tema si dovrebbe concentrare l’impegno europeo di un paese indebitato come l’Italia invece di, tanto per fare un esempio, spendere capitale politico in trattative sulle concessioni balneari.
Nel frattempo, come ricorda Mattarella, sul piano interno resta l’esigenza ineludibile di abbattere il debito. In altre parole, di fare ciò che serve per cambiare la percezione dei mercati sulla rischiosità del debito italiano, percezione che non dipende solo dal volume del debito ma anche dalle prospettive di crescita dell’economia.
Ciò significa impegnare le risorse per investire nel capitale umano e per correggere le debolezze strutturali ben note della nostra economia (prima fra tutte la dimensione delle imprese).
Le due cose stanno insieme: oggi una parte del nostro (insufficiente) investimento in capitale umano va comunque a beneficio dei paesi che accolgono una parte dei nostri giovani più qualificati che non trovano da noi occasioni interessanti di impiego. Su questi temi si dovrebbero concentrare le priorità del Piano fiscale strutturale che impegnerà il paese per i prossimi sette anni e che verrà presentato nelle prossime settimane. Da quello che filtra non sarà così.
Un’ultima battuta sulla razionalità dei mercati. Ci aiuterebbe molto se, come auspica Mattarella, essi non trascurassero la dimensione della ricchezza finanziaria netta delle famiglie, superiore a quella degli altri paesi (un tema che tutti i governi italiani da più di venti anni ricordano). In relazione alla sostenibilità del debito pubblico la ricchezza privata è rilevante in quanto costituisce una possibile fonte di tassazione futura. Una promessa credibile solo se si dispone di un sistema fiscale efficiente. Di nuovo, le scelte recenti non vanno in questa direzione.
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