- Nulla torna nelle stesse forme dopo un secolo, nemmeno il fascismo. Ma la nostalgia per quella visione del mondo non scompare tanto facilmente. Lo dimostra il partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia.
- Nel suo ultimo congresso, nel 2017, FdI indicava nientemeno che nell’illuminismo l’origine di tutti i mali: in particolare la responsabilità di aver combattuto la tradizione e l’autorità in nome della ragione.
- Se poi si scende dai riferimenti teorici alla politica quotidiana, FdI mostra una contiguità ideale ed “emozionale” con il fascismo storico e il neofascismo postbellico.
Nulla torna nelle stesse forme dopo un secolo, nemmeno il fascismo. Ma la nostalgia per quella visione del mondo non scompare tanto facilmente visto ha la gigantesca, nefasta, e irrisolta, impronta che ha lasciato. Lo dimostra il partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia.
Nel suo ultimo congresso, nel 2017, la formazione della leader oggi così coccolata da tanti media, i cui gruppi proprietari fiutano il vento di un suo possibile ingresso trionfale al governo, indicava nientemeno che nell’illuminismo l’origine di tutti i mali: in particolare la responsabilità di aver combattuto la tradizione e l’autorità in nome della ragione.
Questo riferimento potrà apparire intellettualistico ma costituisce invece una precisa cartina di tornasole. Infatti, il grande studioso del fascismo, l’israeliano Zeev Sternhell, ha individuato proprio nella reazione all’illuminismo l’incubazione di lungo periodo del fascismo.
L’ identità, forgiata dalla terra e dal sangue, contrapposta alla ragione costituisce ancora la dicotomia su cui FdI fonda la propria comunità politica.
Non sorprende allora che Meloni abbia potuto definire il finanziere ebreo George Soros, un «usuraio», come un novello Shylock shakespeariano: un’espressione, questa, che deriva da un’altra antinomia evocativa - denaro contro sangue - richiamata da maitre à penser del mondo nostalgico quali Julius Evola ed Ezra Pound.
Se poi si scende dai riferimenti teorici alla politica quotidiana, FdI mostra una contiguità ideale ed “emozionale” con il fascismo storico e il neofascismo postbellico. Simbologie e riferimenti culturali, espressioni gergali e posture di quel mondo sono all’ordine del giorno tra sostenitori e quadri dirigenti del partito.
A cosa si riferiva infatti Meloni quando ricordava il «camerata» Teodoro Buontempo (che considerava un onore questo appellativo) definendolo uno che era sempre rimasto fedele all’«idea»? Questo termine ricorre costantemente nella fraseologia del neofascismo per riconnettersi con l’ideologia di riferimento, quella fascista.
Infine merita di essere segnalato un recente episodio per la mentalità da regime che manifesta: l’incredibile ingiunzione rivolta da deputati di FdI alle autorità accademiche dell’Università di Bologna per “allontanare e rimuovere” un professore di diritto Costituzionale, Andrea Morrone, per aver osato definire neofascista quel partito.
Evidentemente, per costoro non sono mai passati i bei tempi del Minculpop e del giuramento di fedeltà al regime imposto da Mussolini ai docenti nel 1931. La museruola per gli intellettuali non allineati è già pronta.
La nostalgia, a volte, è proprio canaglia. Ma in un senso molto diverso dal sentimentalismo a cui si fa riferimento, perché questa è la «nostalgia dell’avvenire» evocata da quel grande retore che fu Giorgio Almirante: riprendere e rilanciare quell’ idea di un regime autoritario e violento che Giorgia Meloni, nella sua autobiografia suo best seller si rifiuta pudicamente di giudicare politicamente, lasciando la questione in mano agli storici. Beh, li leggesse per farsi una idea.
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