Non è una nuova Monaco ‘38, ma una nuova Yalta. Gli imperi si riconoscono, si parlano e decidono da soli. D’altronde è una loro prerogativa come apprendiamo dalla storia. America e Russia decideranno da sole cosa fare dell’Europa, ad iniziare dall’Ucraina. È lo stesso che alla conferenza del febbraio 1945, con la differenza dell’assenza del Regno Unito ormai decaduto: Usa e Russia una di fronte all’altra e l’Europa stretta attorno alla Germania. Perché il tema è sempre il medesimo: cosa fare della Germania, troppo forte per non impensierire gli imperi ma troppo debole per non essere riuscita a diventare un impero a sua volta.

All’epoca di Roosevelt e Stalin c’erano decine di milioni di morti sul terreno – che per fortuna oggi non ci sono - e l’Europa era in macerie. Le sfide di quella conferenza ruotavano attorno alla costruzione di un nuovo ordine internazionale (idea americana) e alla sicurezza russa (siamo sempre lì!). Stalin ricordava che l’Europa occidentale tra Ottocento e Novecento aveva attaccato la Russia quattro volte (Napoleone; guerra di Crimea; appoggio ai bianchi contro i bolscevichi e attacco nazista) e pretendeva rassicurazioni.

Ora Putin chiede lo stesso: cosa concederà Trump? Per questo non si vuole l’Europa al tavolo, ma nemmeno l’Ucraina, malgrado abbia pagato un forte tributo di sangue: sarà fatta entrare solo quando si discute del “dettaglio” della tregua e poi fatta uscire. I due grandi si guarderanno negli occhi senza testimoni, come sempre. La tattica di Trump è molto diversa da quella dei democratici Usa che affrontavano tutti i nemici insieme: molto più pragmaticamente il tycoon tratta un potenziale avversario alla volta. Iniziare con Mosca serve per poi negoziare con Pechino da miglior posizione.

Ansia da sicurezza

Ciò implica riconoscere alla Russia il suo ruolo di grande potenza e comprendere la sua ansia da sicurezza. Dunque con ogni probabilità Washington riconoscerà a Putin l’annessione del Donbass, della Crimea e di altre parti che furono dell’Ucraina. D’altronde gli imperi riconoscono ai loro pari un diritto di controllo sul cosiddetto “estero vicino”.

Trump lo ha dimostrato iniziando lui stesso da Groenlandia, Canada e Artico che Putin non farà difficoltà a concedergli. Fare il muso duro oggi con l’Europa serve al tycoon ad ottenere dai deboli europei la concessione della piattaforma nordica e artica: chi a Bruxelles vorrà mai «morire per Copenaghen, per Nuuk o per Ottawa?». In questo gioco di scambi di cui Trump è maestro, l’altra domanda da farsi è: quale sarà l’”estero vicino” che verrà concesso a Pechino? Forse Taiwan? C’è tuttavia da dirimere la questione dei semiconduttori di cui Taipei è il maggior produttore globale, ci sarà quindi da fare un accordo produttivo-commerciale coi cinesi.

L’unica differenza con la Cina è che la tradizione negoziale asiatica è molto diversa da quella occidentale (Russia inclusa). Non si fanno le cose in fretta e con coups de théâtre ma con lentezza, pazienza, lunghi silenzi e un approccio a tentativi. Trump la troverà fastidiosa e talvolta insopportabile, vedremo. Potrebbe farsi consigliare dall’ex premier australiano Kevin Rudd, uno che conosce bene entrambi i mondi. Se l’Europa vuole uscire dall’angolo deve trovare qualcosa da dare in cambio a Trump. Una possibilità è realizzare quella difesa comune che alleggerirebbe le spese americane.

Ma c’è anche la strada della finanza: il sistema finanziario globale è tenuto da Usa ed Europa assieme, anche se i maggior fondi (sia attivi che passivi) sono americani.

Fondi attivi

Trump si è assicurato il sostegno dei fondi attivi (speculativi ecc.): l’Europa dovrebbe intavolare immediatamente un negoziato riservato con quelli passivi (BlackRock, Vanguard e State Street) per verificare la loro posizione. È possibile che questi ultimi non siano affatto contenti delle montagne russe che si presentano all’orizzonte: sono nati proprio per tenere stabile la finanza mondiale dopo la crisi del 2008.

Rappresentano immensi interessi incrociati tra Usa ed Europa e non vedono di buon occhio nessun rischio di rottura del sistema. Com’è noto, fin dall’antichità gli imperi hanno sempre bisogno di soldi e si mettono nelle mani dei banchieri, soprattutto quando sono indebitati fino al collo come l’America e la Russia.

Solo Pechino potrebbe farne a meno, ma non cerca da tempo di entrare nel salotto buono della governance globale? Da protagonista s’intende.

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