L’economia italiana è in stagnazione, in un quadro internazionale difficilissimo: l’andamento del Pil si rivela (molto) peggiore del previsto e la produzione industriale è ferma da quasi due anni; con ogni probabilità, il 2025 sarà ancora più critico, per i nuovi dazi dell’amministrazione Trump. In questo contesto, il governo ha preso la strada opposta a quella di cui avremmo bisogno. Invece di investire, decide di tagliare il welfare e i servizi pubblici, gli aiuti alle imprese e i fondi per la transizione energetica: lasciando i cittadini ancora più in difficoltà e il sistema produttivo senza una direzione e una prospettiva di rilancio. Invece di tutelare il lavoro, lo precarizza ulteriormente, facendo aumentare la povertà lavorativa. Invece di spingere gli imprenditori a crescere e a innovare, ne favorisce gli antichi mali con condoni fiscali e persistenti favori alla piccola dimensione.

C’erano alternative? Si dirà, le regole europee sono queste: il ritorno dell’austerità. Si deve però ribadire che queste regole così penalizzanti sono il frutto (anche) degli errori del governo Meloni quando ha negoziato il nuovo patto di stabilità. Ma non rivanghiamo il passato. In realtà, anche con queste regole europee si poteva fare ben altro.

Intanto sul fronte delle spese: mentre il fondo per la sanità scenderà nei prossimi anni sotto il 6 per cento del Pil, soglia considerata minima per la sopravvivenza di un sistema universale, e mentre già 4,5 milioni di italiani non ce la fanno più a curarsi e vedono quindi negato un diritto universale, risaltano gli 1,5 miliardi aggiuntivi destinati in manovra al Ponte sullo Stretto, un’opera mastodontica, incerta e al momento inutile, così come le centinaia di milioni destinati ai centri di detenzione dei migranti in Albania (e lo spreco è il problema minore, in questo caso, rispetto ai diritti umani) o l’aumento di 3,5 miliardi delle spese militari (che pure, al di là del merito, sono uno spreco rispetto alla difesa europea, cui questo governo è contrario).

Grande disuguaglianza

E poi sul fronte delle entrate. L’Italia è uno dei paesi con le più alte disuguaglianze dell’Unione: e per il 5 per cento più ricco della popolazione l’aliquota media diminuisce, addirittura, in virtù delle detrazioni e delle numerose flat tax (sugli affitti, sui redditi da capitale) di cui gode. Occorre ristabilire la progressività per questo 5 per cento privilegiato.

Occorre poi eliminare il regime forfettario per gli autonomi, che la destra ha ulteriormente esteso e che, oltre a fornire gli incentivi sbagliati (all’evasione e alla piccola dimensione), crea un’insopportabile ingiustizia rispetto ai lavoratori dipendenti, su cui grava oggi la stragrande maggioranza del carico fiscale. 

Quanto alla lotta all’evasione (in calo, ma pur sempre stimata a circa 80 miliardi), anche qui il governo ha scelto la strada opposta, con i condoni e anche con segnali inequivocabili come gli attacchi contro l’Agenzia delle Entrate, quando si era permessa di far notare a centinaia di migliaia di lavoratori autonomi che avevano dichiarato meno dei loro dipendenti. Le decine di miliardi che servono alla sanità, alla scuola, ai servizi pubblici, alle politiche industriale e alla transizione energetica sono qui. Altro che tagli!

Lo svilimento e la precarizzazione del lavoro sono parte del quadro. Con il collegato Lavoro di dicembre, ad esempio, il governo ha introdotto la possibilità di utilizzare senza limiti e vincoli i contratti in somministrazione e i contratti stagionali; in aggiunta, nel 2023 aveva già liberalizzato i contratti a termine, le occupazioni intermittenti e i voucher. Ecco perché la povertà aumenta, nonostante l’espansione dell’occupazione di cui il governo si vanta tanto (ma attenzione: le ore di lavoro per occupato diminuiscono).

Nell’insieme, le scelte del governo, dall’ingiustizia fiscale alla precarizzazione del lavoro al taglio dei servizi pubblici fondamentali, delineano una «strategia» precisa: fatta da un lato di piccolo cabotaggio e misure spot, di favori ai gruppi amici; dall’altro, di rinuncia alle politiche industriali e per l’ambiente e di abbandono del pubblico.

È una strategia rivendicata del resto, con coerenza bisogna riconoscere, da Meloni, da anni (e in linea ad esempio con il liberismo di Milei). Ma è una strategia che si è già rilevata fallimentare, per l’Italia, negli anni passati. Nel mondo in cui siamo oggi, è del tutto anacronistica. Per evitare che il nostro paese sprofondi nella povertà occorre una politica economica diametralmente opposta.

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