E se Filippide avesse comunicato la sconfitta degli Ateniesi? E se Orson Welles avesse scatenato la guerra dei “mondi”? La Storia è ricca di menzogne, di manipolazioni, di bugie, di falsità. La differenza consta nel fatto che oggi è più complesso fermare la diffusione di una fandonia (oggi definite con anglicismo edulcorante “fake news”).

I crescenti livelli di analfabetismo di ritorno, la montante quantità di informazioni e il corrispondente declino della conoscenza, la marea di “fonti” di divulgazione di opinioni, parole e commenti che sovente scadono nella diceria limitano la capacità di discernere, di distinguere il grano dal loglio. La novità è la difficoltà nel bloccare in tempo la disinformazione prima che esca dal “bar” generando problemi anche seri.

Speculazioni finanziarie, panico, attacco alla reputazione delle persone, cattiva educazione civica, distorsione della percezione, incidenza sulle spese e sui consumi (materiali e no), induzione di comportamenti devianti, aumento del razzismo, crescita dell’odio verso talune popolazioni, pericolo di guerre e ovviamente ingerenza nel regolare processo elettorale.

Il tutto condito da eccessi di politicamente corretto che agiscono da freno alle mastodontiche panzane su cui spesso si discetta per settimane in nome di una mal-concepita libertà di espressione che in realtà mina il principio di falsificabilità e scade nel chiacchiericcio.

Sono tanti i centri di diffusione di “dati” che appare impraticabile un controllo ex ante, un filtro, che comunque rasenterebbe il vizio della censura. L’unica arma veramente valida resta la formazione, l’educazione, il sapere, la cittadinanza attiva, la dotazione di strumenti per vigilare, per costruire una propria informazione partendo dai fatti. Aggiungendo però l’acquisizione di abilità nel maneggiare dati e informazioni non solo con “cura”, ma anche con professionalità e consapevolezza.

Il pericolo sociale e politico derivante dall’uso distorto dei dati è cospicuo. Di fronte a masse ingenti di flussi comunicativi c’è il rischio molteplice che corrode le basi democratiche. Il cittadino dis-informato tende a reagire rinchiudendosi in atteggiamenti di relativismo assoluto (il frequentissimo “Questo lo dice lei”), di nichilismo (“Inutile informarsi”), di distacco (“Sono tutti uguali”) e perfino di negazionismo-complottismo (“Centri di potere occulto guidano le nostre vite). Dai falsi dati sulle spese sanitarie della campagna pro Brexit alla negazione dei risultati delle elezioni americane e del cambiamento climatico, le “fake news” (eh sì) prosperano dove i dati sono ignorati.

In queste settimane la campagna che porterà i cittadini statunitensi a eleggere il successore di Joe Biden alla Casa Bianca vede da parte di Donald Trump ed Elon Musk una disinformazione costante: il miliardario sudafricano lancia Grok, una nuova Ia che genera immagini artificiose, ospita su X una lunga videointervista a Trump che nega il cambiamento climatico e lo minimizza («Con il riscaldamento globale avremo più ville fronte oceano», ha detto. Tutto vero!), poi sul social che aveva aperto quando era stato messo al bando da Twitter, Truth (sì, si chiama verità), commenta le foto dei comizi di Kamala Harris affermando che si tratta solo di immagini generate con l’intelligenza artificiale.

L’Italia dell’astratto

Interminabili e noiosi dibattiti, o meglio zuffe verbali, in tv dove il confronto parte da assunti non verificabili con un contraddittorio basato su arzigogoli retorici. Nessun dato di partenza inconfutabile: ormai finanche Istat e Banca d’Italia sono messi in discussione. Con il rovescio della medaglia, quale paradosso.

Il controllo dei fatti (sempre un anglicismo) che però tarpa le ali ai programmi ambiziosi. Una pericolosa oscillazione tra il vagone di un treno e la riunione di un consiglio di amministrazione. In Italia, i dibattiti di queste settimane tra i partiti sono disarmanti. Sembra si voglia rinunciare ai dati: o si inseguono i sondaggi provando ad assecondare qualsiasi umore degli elettori o si inventano dati o si ignorano le evidenze.

Pensiamo all’Autonomia differenziata: messi in cantina anni di discussioni su costi standard e Lea, adesso si è votata una riforma che rischia di spaccare il Paese senza un’analisi seria dei costi e delle fonti di finanziamento. Allo stesso modo, il dibattito su Reddito di cittadinanza e Superbonus (che poi bonus non era, ma un credito d’imposta) è stato fatto tra opposte tifoserie. Non serve a nessuno, o meglio serve a disorientare, ad alimentare populismo e sfiducia istituzionale.

Per questo NetPolitics, associazione che promuove formazione sul tema del digitale, della comunicazione e della partecipazione, nata a inizio 2024, ha lanciato a luglio il “Manifesto per l’uso responsabile dei dati”, 10 principi contro la cultura delle fake news e per l’ecologia dell’informazione, in grado di costruire un ambiente in cui i dati siano un motore di conoscenza e progresso, senza compromettere i diritti fondamentali dei cittadini.

Ne presiedo il comitato scientifico, e ci è sembrato opportuno ribadire un vecchio adagio del giornalismo analogico: un’affermazione non è credibile e fondata se non si basa su dati. Facciamo diverse proposte: dall’educazione all’uso dei dati fin dalla scuola media, al sostegno alla ricerca pubblica e senza scopo di lucro sui dati, dalla trasparenza nell’uso dell’intelligenza artificiale alla condanna delle profilazioni psicologiche a fini elettorali, come avvenuto nel caso di Cambridge Analytica.

Intorno ai principi del Manifesto NetPolitics organizzerà, dal 18 al 22 settembre 2024 a Fano, la “Scuola estiva DataPolis”. I dati falsi ma anche il loro cattivo utilizzo sono un veleno per la democrazia.

La Scuola punta a fornire strumenti e concetti utili a politici, giornalisti e cittadini. La ricerca può e deve sempre migliorarne la raccolta e l’interpretazione, sta alla società usare i dati con saggezza e consapevolezza.

© Riproduzione riservata