Il governo torna all’attacco della libertà di stampa approvando, nel corso del consiglio dei ministri, il decreto legislativo che prevede lo stop alla pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare prima che siano concluse le indagini preliminari.

La norma, che ha ottenuto il via libera in esame preliminare, è concepita per attuare l'articolo 4 della legge di delegazione europea che impone ai governi di «adottare le disposizioni necessarie a garantire l'integrale adeguamento alla direttiva UE 2016/343» e così assicurare l'effettivo rispetto dell'articolo 27, secondo comma, della Costituzione», si legge nella di Palazzo Chigi. Ora il decreto legislativo dovrà passare all’esame delle commissioni parlamentari per un parere non vincolante da rendere entro 60 giorni. Poi il testo tornerà in consiglio dei ministri per l’approvazione definitiva e così diventerà legge.

Gli effetti

L’emendamento, che era stato proposto dal deputato di Azione Enrico Costa, modifica l'articolo 114 del codice di procedura penale e vieta di pubblicare in forma «integrale o per estratto» il testo dell’ordinanza di custodia cautelare fino al termine dell’udienza preliminare, quindi fino al momento in cui inizierà il contraddittorio tra le parti.

Così, dunque, si impedirà ai giornalisti di rendere pubblici gli atti del processo, anche se non più coperti da segreto perché conosciuti anche dalle parti. Sarà consentito, infatti, dare notizia solo del “contenuto” dell’atto, quindi con una sintesi del giornalista, che dovrà parafrasare l’atto senza riportarne stralci tra virgolette. L’unica cosa che potrà essere riportata in forma letterale sarà il capo di imputazione. In questo modo si torna indietro rispetto a quanto stabilito dalla riforma del 2017, che prevedeva la pubblicabilità senza limiti delle ordinanze.

Già al momento del via libera d’aula, l’emendamento era stato fortemente criticato dai vertici dell’Fnsi, e ora con questo ulteriore passo avanti il presidente Vittorio di Trapani ha lanciato l’allarme. Ha definito la norma «un ritorno al passato che nulla ha a che vedere con il garantismo. In realtà il divieto di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare è un piacere ai potenti che vogliono l'oscurità e ai colletti bianchi» e così il governo impone «un nuovo bavaglio alla stampa e ai cittadini, che saranno meno informati».

Il ruolo di Costa

Certamente il governo ha sposato in pieno la stretta che silenzia la stampa in modo che, in futuro, sarà impossibile pubblicare per esempio le conversazioni tra l’ex governatore della Liguria Giovanni Toti e l’imprenditore Aldo Spinelli sulla base delle quali si è fondata la misura dei domiciliari. In realtà, però, la vera vittoria è di Enrico Costa, deputato prima di Forza Italia e oggi di Azione, da sempre abilissimo in materia di giustizia e capace di trovare sponde per le sue battaglie politiche - come in questo caso – anche dentro la maggioranza. La norma in questione, infatti, era stata inserita durante l’esame parlamentare del decreto legislativo proprio da un emendamento a sua prima firma approvato anche coi voti del centrodestra.

«Apprezzo il fatto che il governo abbia dato seguito alla delega nata dal mio emendamento alla legge di delegazione europea», è stato infatti il suo primo commento. Poi ha spiegato la logica dello stop alla pubblicazione di un atto che è conosciuto e conoscibile per le parti e che dunque non è più coperto da segreto assoluto. «Le ordinanze cautelari che intervengono durante le indagini preliminari» e «contengono solo le accuse; la voce della difesa non c'è, perché la difesa al limite ricorrerà quando saranno già su tutti i giornali», dunque «la norma è un giusto bilanciamento tra il diritto di cronaca, il diritto di essere informati e la presunzione di innocenza».

Quella per restringere e irregimentare la possibilità di divulgare informazioni legate alla cronaca giudiziaria è una storica battaglia di Costa. Sempre facendo leva sulla stessa direttiva Ue, nel 2021 il deputato era infatti riuscito a far introdurre con una legge approvata con la guardasigilli Marta Cartabia le restrizioni alla comunicazione delle procure. Ora, infatti, informazioni sui procedimenti in corso possono essere fornite solo dal procuratore capo per mezzo di comunicati stampa o conferenze stampa e sulla base di condizioni di interesse pubblico codificate.

I rischi

Quando questa nuova legge verrà approvata, i rischi per la qualità dell’informazione sono molti. «Vietare le pubblicazioni delle ordinanze giudiziarie è un ceffone alla libertà di stampa. Il governo ha il tic della censura. Come Partito Democratico staremo dalla parte di chi si oppone alla legge bavaglio. Una democrazia senza libertà di stampa che democrazia è?», ha scritto Sandro Ruotolo, europarlamentare e responsabile Informazione nella segreteria nazionale del Pd. Anche la capogruppo di Avs alla Camera, Luana Zanella, ha sottolineato che «il divieto di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare favorisce solo i colletti bianchi. Il bavaglio alla stampa non fornisce alcuna garanzia, questa non è una norma che tutela le persone indagate, contribuisce solo a fare silenzio sui potenti indagati».

Certo è che, silenziosamente, il governo Meloni ha compiuto un altro passo nella direzione di rendere più complicato informare i cittadini in merito alle vicende di natura giudiziaria di interesse pubblico.

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