La corsa di Jannik Sinner si è fermata ai quarti, oggi ci prova Lorenzo Musetti, ma la semifinale di Jasmine Paolini già contribuisce a rendere storico questo torneo di Wimbledon per il tennis italiano, nato e cresciuto sulla terra battuta, mai così vicino all’eccellenza sui prati. Paolo Bertolucci ha spiegato l’altro giorno i motivi sulla Gazzetta: «L’apertura mentale di una nuova generazione di tecnici, le esperienze maturate in giro per il mondo lasciando la propria comfort zone». In una parola: aggiornamento.

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Si sono aggiornati anche i tecnici del nuoto. Un paese che aveva avuto sporadici assi e stelle sulle distanze lunghe, si è messo a lavorare sullo sprint e gli altri stili. In una parola: studio. Hanno studiato alla federazione atletica leggera, dove la presidenza Mei sta raccogliendo la semina avviata dal predecessore Giomi, con l’attenzione ai figli dell’immigrazione e lo ius soli sportivo. In una parola: modernità. La stessa modernità che la boxe ha declinato in una rivoluzione femminile: a Tokyo 2021 andarono solo donne, a Parigi sono in maggioranza. In una parola: progresso.

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Il disastro della pallacanestro

L’istituto Nielsen prevede una spedizione italiana ai Giochi da G-7 dello sport mondiale, con 46 medaglie di cui 11 d’oro, dunque sei podi e un successo in più rispetto a Tokyo. Dentro questo quadro così dinamico, spicca l’immobilismo della pallacanestro, che ha mancato tutte le qualificazioni possibili, nei tornei urban da playground 3 contro 3, nella versione classica a cinque, sia in campo maschile sia in quello femminile. L’Italia dei canestri assomiglia in modo sinistro a quella del calcio. Con due differenze: vanta risultati peggiori e una superiore accondiscendenza.

Non va sul podio europeo da 20 anni, ha mancato l’accesso ai Mondiali tre volte su sei, dal 2004 in poi c’è stata una sola partecipazione ai Giochi. Eppure l’assedio portato alla classe dirigente del calcio viene risparmiato a Gianni Petrucci, dirigente eterno, ex un po’ di tutto, alla guida del CONI per 14 anni e poi tornato alla federbasket già presieduta ai tempi in cui esistevano la lira e la Jugoslavia.

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In questo grigio ventennio tutto da intestare a lui, Petrucci ha cacciato il solo ct capace di portare gli azzurri ai Giochi per averne uno più mediatico, ha visto sparire una piazza dietro l’altra, ha trascurato il movimento femminile fino a disertare la partita decisiva per un posto alle Olimpiadi, preferendo andare a vedere Milano-Bologna. Critica il calcio ma poi entra nella Salernitana per accompagnarla in B. Critica la politica ma ogni volta sostiene le decisioni dei ministri, dopo averle all’inizio occasionalmente avversate. Conosce l’arte di cadere in piedi, mentre il suo povero sport rimane un piccolo mondo antico ai minimi storici.

Aggiornamento, studio, modernità e progresso non appartengono al basket, in una specie di prima repubblica che non finisce mai. 

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