Sul piano interno, soprattutto per demeriti dell’opposizione, Meloni continua ad avere un consenso elevato e a vincere le elezioni regionali. A livello internazionale va, per quanto possibile, ancora meglio alla presidente del Consiglio
Il momento è propizio. Tutto, sul piano politico, congiura in questo momento a favore di Giorgia Meloni in Europa. Per suoi meriti e per fortuna, come sempre nella storia. Sul piano europeo, la premier è riuscita a superare la difficoltà legata alla bocciatura del secondo mandato di von der Leyen, porterà a casa Fitto come vicepresidente esecutivo della Commissione e per ora non vengono fatti pesare i ritardi del Pnrr, anche grazie a una politica economica prudente del governo che ha messo al riparo dallo spread i titoli di Stato.
Sul piano interno, soprattutto per demeriti dell’opposizione, Meloni continua ad avere un consenso elevato e a vincere le elezioni regionali. Inoltre, la coalizione di centrodestra è per ora ben domata dalla premier: Forza Italia è cresciuta e chiede spazio al centro ma non ci sono avvisaglie di rottura, la Lega è ridimensionata e non può che restare aggrappata al governo. A destra e al centro non si scorge nulla di nuovo che possa per ora impensierire Fratelli d’Italia.
A livello internazionale va, per quanto possibile, ancora meglio alla presidente del Consiglio. La Francia combatte con una instabilità politica duratura e Macron è in parabola discendente da tempo, in Germania il governo Scholz va verso la dissoluzione e serviranno mesi per avere un nuovo esecutivo, in Spagna Sanchez fa i conti con una coalizione appesa a pochi voti in parlamento e subisce il risentimento popolare generato dall’alluvione di Valencia, in Olanda l’ondata nazional-populista ha prevalso come in Italia e c’è un governo che ricorda la formula Meloni. La vittoria di Trump in America rende la leader di Fratelli d’Italia uno dei capi di governo ideologicamente più vicini a Trump e con la possibilità di sfruttare i rapporti stretti con Elon Musk nell’ultimo anno.
La presidente del consiglio è dunque in uno scenario ottimale, dove forte del proprio consenso e della stabilità del governo può provare ad incidere sugli equilibri europei. Questo però presuppone uno scatto che deve consumarsi da qui a pochi mesi: abbandonare un atteggiamento passivo-reattivo, che ha caratterizzato la destra italiana fino ad oggi, in favore di uno attivo-propositivo.
La diffidenza di Meloni nel proporre le ha già creato un problema, oggi invece di un “piano Meloni” si discute di un “Piano Draghi”. Se la premier avesse prima rotto il cordone ombelicale con un euroscetticismo che da quando è al governo non ha mai messo in pratica, oggi si discuterebbe di un piano politico di matrice italiana invece di un’agenda che è il prodotto di un grande tecnocrate internazionale. E Meloni sa che in molte aree oggi c’è bisogno di collaborazione europea, lo ha detto di recente a Budapest per quanto riguarda l’aumento della spesa militare e altre volte in materia di politica industriale.
Allora la premier dovrebbe sfruttare il vuoto di potere dei prossimi mesi e portare da von der Leyen un piano Draghi rimaneggiato con le lenti del realismo politico. Sfrondare il piano da ciò che è politicamente proibitivo per tutti, la riforma della governance delle istituzioni, e ritagliare ciò che si può fare in breve tempo, come difesa, politica industriale, revisione del green deal. Andare al sodo insomma, agire sulle priorità della forse troppo vasta agenda Draghi.
I prossimi mesi offrono una finestra di opportunità che potrebbe permettere a Meloni anche di anticipare la discussione di queste forme di integrazione selettiva rispetto al prossimo governo tedesco, che sarà molto probabilmente guidato dalla Cdu ossia un partito che oramai ha idee abbastanza simili a Meloni. È una occasione da non sprecare, soprattutto se l’alternativa è rincorrere Orbán. Ed è un gioco a somma positiva se si ottengono passi in avanti dell’Unione, mentre non ci sarebbero sostanziali danni politici per Meloni se si dovesse determinare uno stallo, che è situazione molto comune a Bruxelles.
Se le cose dovessero mettersi peggio sul piano economico per il vecchio continente, infatti, nessuno potrebbe rimproverare alla presidente del Consiglio di non averci provato. Cosa che invece accadrebbe se si mantenesse immobile e diffidente come è stata in questi due anni.
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