- Bisogna conoscere i reali effetti dell’assunzione dei cannabinoidi, in particolare nelle fasce di età più giovanili, quelle in cui appare più diffuso l’uso della sostanza, secondo una progressiva anticipazione dell’età di inizio dell’assunzione.
- È un dato clinicamente e statisticamente incontrovertibile che l’uso di cannabinoidi produca un netto incremento del rischio di sviluppo di disturbi psicotici, ma anche deficit di concentrazione, «sindrome amotivazionale» e la compromissione di altre funzioni neuropsicologiche di base.
- Legalizzare la cannabis comporterebbe un aumento o comunque una maggiore facilità del suo consumo, ma quali potrebbero essere i costi economici per il sistema sanitario nazionale?
L’articolo di Gherardo Colombo La cannabis va depenalizzata. Così miglioriamo il sistema carcerario, pubblicato su Domani del 18 agosto 2022, sostiene la necessità di legalizzare consumo e commercio della cannabis, in tutte le sue possibili tipologie di prodotti, anche, ma non solo, allo scopo di ridurre l’affollamento carcerario, con tutte le sue drammatiche conseguenze.
Nel testo viene affermato che la cannabis «ha controindicazioni mediche decisamente meno drammatiche» di quelle di tabacco e alcool. A Colombo manca l’informazione sui reali effetti dell’assunzione dei cannabinoidi, in particolare, ma non solo, nelle fasce di età più giovanili, quelle in cui appare più largamente diffuso l’uso della sostanza, secondo una progressiva anticipazione dell’età di inizio dell’assunzione, oggi molto spesso collocato nell’età della scuola media, con immediata successiva esplosione in quella delle scuole superiori.
E’ un dato clinicamente e statisticamente incontrovertibile che l’uso di cannabinoidi produca un netto incremento del rischio di sviluppo di disturbi psicotici, con quadri clinici spesso non differenziabili, per aspetti psicopatologici e per decorso, da quelli della schizofrenia, nella maggior parte dei casi non regredibili anche dopo eventuale sospensione dell’assunzione.
Il rischio di un tale sviluppo è naturalmente associato a variabili individuali di suscettibilità, ma è nettamente correlato all’età precoce di inizio di assunzione, alla continuità e al dosaggio cumulativo.
Diversi studi epidemiologici europei hanno indicato in percentuali variabili, in media tra il 10 e il 20 per cento, il numero di nuovi casi di schizofrenia eziologicamente associati all’uso di cannabis.
Il modello più accreditato sulla natura di tale rapporto indica l’elemento centrale nell’influenza della cannabis, e in particolare del thc che ne costituisce il componente maggiormente dotato di effetti psicoattivi e psicotomimetici, nell’alterare il fisiologico ordine del processo neuroevolutivo, cioè di sviluppo e di organizzazione cerebrale, inducendo deviazioni in grado di costituire la base per il successivo sviluppo di quadri clinici di tipo psicotico.
È evidente che, in tale ottica, tanto più precoce e massiccia è l’assunzione di cannabinoidi tanto più elevato è il rischio clinico associato.
Compromette le capacità intellettive
La stessa interferenza sul fisiologico processo di neurosviluppo appare alla base anche di un’altra conseguenza clinica dell’uso di cannabinoidi, cioè lo sviluppo deficitario delle capacità intellettive dei consumatori.
È un dato assodato che la cannabis induce, nei consumatori di qualunque età, elementi deficitari di concentrazione, attenzione, memoria e altre funzioni neuropsicologiche di base.
Ma l’assunzione in età giovanile comporta spesso di fatto il rallentamento generale dell’organizzazione cerebrale e quindi aspetti deficitari nel raggiungimento del potenziale livello intellettivo individuale.
Esistono studi scientifici che indicano come negli adulti consumatori di cannabis in età giovanile il quoziente intellettivo risulti significativamente più basso di quello di coetanei non precedentemente consumatori.
Sindrome amotivazionale
Un comune effetto dell’uso cronico di cannabinoidi è rappresentato, al di là del rapido effetto distensivo o euforizzante associato all’assunzione, dallo sviluppo di sindromi depressive a decorso cronico, caratterizzate da prevalenti aspetti psicopatologici di apatia, disinteresse e demotivazione, la cosiddetta «sindrome amotivazionale» che, in associazione agli aspetti di deficitarietà intellettiva, costituisce una condizione alla base di incapacità a portare avanti iniziative o progetti di studio, di lavoro, di organizzazione di vita.
Il tutto senza tener conto del fatto che, contrariamente a quanto molto spesso sostenuto, l’uso di cannabis comporta in almeno il 20 per cento dei consumatori una reale condizione di dipendenza, cioè di incapacità a sospendere l’assunzione se non a costo di importante sofferenza sia fisica che, soprattutto, psichica.
Aleggia in tutto l’articolo di Colombo la contrapposizione della cannabis quale “droga leggera” ad altre “droghe pesanti”. Si tratta di un punto di vista pure questo scientificamente infondato, sulla base dell’attuale classificazione internazionale delle sostanze psicoattive e stupefacenti, la cannabis risulta ancora collocata in modo non sostanzialmente diverso da oppiacei, cocaina, ecc.
La libertà di scelta
Nel caso della cannabis, anche se è vero che il rischio di effetti clinici è correlato a continuità e dosaggio delle assunzioni, è anche documentato il ruolo della vulnerabilità individuale, in buona parte genetica, verso lo sviluppo di effetti clinici significativi anche nel caso di assunzioni sporadiche o di dosaggi continuativi non elevati, oltre che di effetti a lungo termine sullo sviluppo cerebrale per assunzioni in età giovanile a dosaggi non necessariamente elevati.
Ed è proprio il rischio più elevato relativo all’uso di cannabis in età giovanile che rende meno applicabile a questa situazione la fondamentale problematica della libertà di scelta, della capacità di autodeterminazione davanti a scelte di vita potenzialmente dense di conseguenze negative sia a breve che a lungo termine.
Costi carcere vs costi assistenza sanitaria
Colombo indica centrale il tema dei costi carcerari (3 miliardi all’anno), a fronte del drammatico stato attuale di sovraffollamento e disagio che potrebbero essere ridotti in caso di legalizzazione della cannabis. Ma partendo dall’ipotesi molto realistica che legalizzare la cannabis comporterebbe di fatto un aumento o comunque una maggiore facilità del suo consumo, ha presente il dottor Colombo quali potrebbero essere i costi economici per il sistema sanitario nazionale (oltre che quelli di sofferenza personale e familiare) della presa in carico a vita di migliaia di nuovi casi di soggetti psicotici derivanti da tale maggiore diffusione di uso? O i costi assistenziali o previdenziali per fasce di popolazione con ridotta capacità di impegno e rendimento di studio e lavorativo?
È molto cinico confrontare costi e sofferenza dell’istituzione carceraria con costi e sofferenza dell’assistenza sanitaria ai nuovi malati di psicosi o di altri disturbi relativi all’uso di cannabis.
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