Dopo l’incidente ferroviario nel quale sono morte almeno 36 persone, il ministro del Trasporti greco Kostas Karamanlis si è dimesso e ha spiegato che questo è «il minimo che posso fare per onorare la memoria delle vittime» e si è assunto tutte le responsabilità dello Stato che non aveva saputo proteggerle. Salvini e Piantedosi dovrebbero fare lo stesso, invece che minacciare querele.
Invece di minacciare querele ai giornali – a Domani e al Fatto Quotidiano – il ministro dei Trasporti Matteo Salvini dovrebbe spiegare perché a cento metri dalle coste della Calabria sono morte 67 persone domenica mattina all’alba.
I fatti ormai sono chiari: l’agenzia europea Frontex sapeva dalla sera prima che c’era un barcone con a bordo persone, la Guardia di Finanza ha provato a salvarle, la Guardia costiera no. E la Guardia costiera, l’unico corpo dotato dei mezzi di salvataggio adeguati, fa capo al ministero di Salvini.
Ci sarà tempo per appurare i dettagli, anche se al momento l’inchiesta giudiziaria riguarda soltanto gli scafisti e non i mancati soccorsi.
Ma Salvini non ha avuto bisogno di aspettare gli accertamenti, ha subito difeso la Guardia costiera e il suo operato.
Già nella giornata di martedì, quando si è iniziato a capire che le 67 persone erano morte mentre la Guardia costiera non provava neppure a salvarle, Salvini ne ha difeso l’operato: «Solidarietà a donne e uomini della Guardia costiera».
E poi la minaccia: «Chi osa metterne in dubbio l’impegno, lo sforzo e la straordinaria professionalità ne risponderà nelle sedi opportune».
Per la verità, nessuno pensa che le navi della Guardia costiera siano rimaste a riva per una questione di scarso impegno o cattiva volontà.
Si potevano salvare
Il comandante della Guardia costiera Nicola Carlone è stato nominato dal governo Draghi, ma come tutti i suoi predecessori si interfaccia con il vertice politico, non prende certo decisioni autonome su materie così delicate come il comportamento da tenere in materia di gestione dell’immigrazione.
Il comandante della Guardia costiera di Crotone, Vittorio Aloi, ha detto che nel mare di domenica mattina si poteva intervenire, nonostante le condizioni pessime: «Quel giorno c'era mare forza quattro, non sei o sette. Le nostre motovedette avrebbero potuto navigare anche con mare forza otto».
Ma la Guardia costiera, sulla base delle direttive ricevute, non può intervenire finché non viene proclamato l’evento Sar, cioè Search and rescue.
Fino ad allora l’operazione è di contrasto agli scafisti e di competenza della Guardia di finanza, che infatti si è mossa, ma che non ha le imbarcazioni adatte a salvare 180 persone che rischiano di affogare. L’indicazione non è mai arrivata e 67 persone sono morte, bambini inclusi.
Il sito della Guardia costiera, nella parte sulle attività di soccorso nel Mediterraneo, spiega: «Lo Stato responsabile di un’area Sar, in caso di emergenza in mare nella propria area di responsabilità, ha l’obbligo di intervenire assumendo, per il tramite del proprio Rescue Coordination Center (Rcc), il coordinamento delle operazioni di soccorso con l’impiego di unità Sar, ma anche con unità militari e/o civili, quali ad esempio le unità mercantili presenti in zona, in adempimento agli obblighi giuridici assunti con la ratifica della convenzione internazionale».
In questo caso non c’è ambiguità su quale sia lo Stato responsabile, perché i naufraghi erano a pochi metri dall’Italia. Dunque perché nessuno a Roma si è preso la responsabilità di coordinare il soccorso?
A Salvini va bene così
Salvini sa perfettamente come funzionano queste pratiche, ai tempi del primo governo Conte nel 2019 lui era ministro dell’Interno. Danilo Toninelli, ministro dei Trasporti, mandava le navi della Guardia costiera a salvare i migranti in mare e Salvini impediva lo sbarco immediato in Sicilia.
Questa volta Trasporti e Interno sono in mano a due ministri in quota Lega, Salvini e Matteo Piantedosi, ex capo di gabinetto del Salvini che bloccava i porti. E i risultati si vedono. Un evento chiaramente catastrofico non è stato classificato come meritorio di “ricerca e soccorso”, le persone sono rimaste in mare ad affogare.
Salvini sembra considerare che tutto si è svolto regolarmente, il fatto che siano morte 67 persone lo attribuisce soltanto al fatto che quei disperati sono partiti e si sono affidati agli scafisti.
Sui social attacca così gli articoli di Domani e Fatto Quotidiano: «Non una parola contro i veri responsabili della strage (cioè i trafficanti di esseri umani), ma insulti e fango contro la Guardia Costiera e il sottoscritto. Trovo vergognoso che i giornali di sinistra scarichino le colpe sulle donne e gli uomini in divisa, oltretutto in un momento delicato di minacce anarchiche alle istituzioni».
Il problema è politico
Per essere chiari: nessuno le scarica sui singoli componenti del corpo della Guardia costiera, che certo non sono in condizione di prendere iniziative spontanee in deroga alle disposizioni ricevute.
La Guardia costiera i migranti li ha sempre salvati, perfino quando Salvini era al Viminale. Il problema è che ora Salvini è il referente politico del corpo. E i migranti, anche quando sono naufraghi, muoiono.
Il problema è politico e Salvini e Piantedosi sono venuti meno a quello che lo stesso ministro dei Trasporti – a parole e soltanto a parole – considera obbligatorio: «Aiutare chi è in difficoltà non è una scelta ma un dovere».
A quel dovere l’Italia è venuta meno, e le persone con la responsabilità di intervenire erano due: Salvini, per quanto riguarda la Guardia costiera, Piantedosi più in generale con le politiche anti-sbarchi che hanno impedito alle navi private delle Ong di operare nei tratti di mare più a rischio.
Dopo l’incidente ferroviario nel quale sono morte almeno 40 persone, il ministro del Trasporti greco Kostas Karamanlis si è dimesso e ha spiegato che questo è «il minimo che posso fare per onorare la memoria delle vittime» e si è assunto tutte le responsabilità dello Stato che non aveva saputo proteggerle.
Salvini e Piantedosi dovrebbero fare lo stesso, invece che minacciare querele.
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